Nonsolomamma

di troll, serial killer e sassi lucidi

Gli Islandesi perdono la testa per due cose: il tempo bello e una nuova eruzione vulcanica.
Al momento sono presenti entrambe.
Domenica, prima che il vulcano eruttasse e lo sciame sismico cessasse, Mister I e io siamo andati in gita alla penisola di Snæfellsnes, che si legge Snaifellsness (Snæ è uno dei 100 modi per dire neve), a nord ovest di Reykjavík.
La guida era anche autista del nostro pulmino e tirocinante infermiera nel reparto di nefrologia. Ci ha detto di avere 53 anni, due figli e un’intolleranza al buio invernale tanto che quando è stufa va a fare la guida nel Sudest asiatico. Ci ha spiegato che gli Islandesi, durante l’anno, passano moltissimo tempo in casa. E si stufano del proprio arredamento. Per questo lo cambiano vorticosamente e, quando non possono permettersi di rinnovarlo, spostano i mobili.
Ci ha raccontato storie di troll e di elfi vendicativi e ci ha mostrato la fattoria dove visse l’unico serial killer islandese, nel XVI secolo.
Nella penisola c’è un vulcano, lo stesso di cui parlava Jules Verne all’inizio di Viaggio al centro della terra. Se eruttasse genererebbe uno tsunami con onde alte 15-20 metri che raggiungerebbero la capitale in un quarto d’ora e gli abitanti non avrebbero il tempo di fuggire. Ce lo ha detto la guida con il cuore leggero, fiera di vivere in un paese geologicamente in fasce.
Abbiamo visto una chiesetta nera dove la gente va a sposarsi, guano decorativo sulla scogliera (“meglio la Zinzulusa a Castro” ha detto Mister I), la statua di Bárður, mezzo uomo, un quarto gigante e un quarto troll, cascate, foche, pulcinelle di mare. Intanto Mister I giocava a 2048 e non riusciva a smettere nemmeno quando la guida ci ordinava di respirare l’energia magica del vulcano o ci invitava, nel caso desiderassimo rinascere, ad attraversare un pertugio vulcanico a forma di vagina.
Siamo andati su una spiaggia dove un tempo i pescatori venivano pagati in base al peso dei massi che riuscivano a sollevare. Mister I ha smesso di giocare, si è tolto scarpe e calze e, sentendosi un dio norreno, si è bagnato i piedi nell’acqua gelida.
Intanto la guida confabulava con una signora americana del gruppo, in infradito, e fregava delle pietre passandosele sul viso. Ho pensato che stesse celebrando un rito sacro. Ero invidiosa della signora americana. E mi dicevo: perché con lei la guida celebra riti sacri e invece io, che porto persino scarponcini adatti, vengo ignorata?
Così, con aria indifferente, mi sono avvicinata e sono stata ammessa al cerchio magico delle donne speciali e sacre. «Vedete? – faceva la guida – se sfregate le pietre sul grasso del naso, diventano lucide e bellissime». Poi, dopo avere unto per bene le pietre con il suo naso, voleva regalarcele. La signora americana le ha prese come tesori e le ha messe in un sacchetto di plastica. Io no.
È stata una splendida gita.

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