Ho preso il covid. Deve essere successo in un pub dove sono andata una sera per presentare un podcast. E pensare che non ci vado mai nei pub e non bevo nemmeno la birra. L’ho preso per la seconda volta. La prima era stato terribile. Questa volta è stato sgradevole e mi sono sentita molto in colpa per esserci cascata di nuovo. Ho perso l’olfatto, due puntate alla radio, un incontro di lavoro, la verticalità, il gusto, il senso del bello, la gioia di vivere. Poi è passato e ora sta lentamente tornando tutto.
Mentre io, chiusa nella mia stanza, rimuginavo livorosa sulla miseria del mondo, Mister I fuggiva a Londra, il grande scopriva che lo avevo contagiato per colpa di un pancake condiviso in tempi non sospetti, il medio era latitante e Sneddu, approfittando del rilassamento generale dei costumi domestici, imboccava derive trash. Dopo un paio di abominevoli calzari da rapper numero 45, acquistati su commissione a Marsiglia in un mercato di contrabbando, l’ultimo anello della catena dell’inguardabile, è un enorme brillante all’orecchio tenuto su con la calamita. Meglio maranza a 14 anni che a 44, mi ripeto, chiedendomi tuttavia se sia opportuno mettere qualche paletto prima che Sneddu si presenti con l’autografo di Tony Boy o l’imperativo “Free Shiva” tatuato sulla guancia.
Mister I, oltre a essere partito, è anche rientrato. Ha passato la giornata di oggi chiuso in cucina. “Cosa fai?” “Faresti meglio a chiedermi cosa non faccio”. Domani è il suo compleanno e siccome, chiaramente, la famiglia non è in grado di offrirgli quello che lui desidera, provvede da solo con una produzione industriale di orecchiette, braciole, taralli dolci e salati e altre pugliesità di cui ancora non mi sono accorta.
Domani torno alla normalità ma ho il sospetto che non sarà reciproco.