Nonsolomamma

l’eccessivo

È sempre stato eccessivo. Da piccolo, se aveva mal d’orecchio, non era una semplice otite ma un timpano perforato con secrezioni radioattive. La dermatite non era il lieve rossore sulle gote degli altri bambini ma con i bubboni della peste. Una banale influenza non si presentava con il raffreddore ma con i sintomi del vibrione del colera. Il grande è fatto così. 

A Cuba, come in moltissimi paesi dell’America Latina e non solo, bisogna stare attenti. A quello che si mangia e, soprattutto, a quello che si beve. L’acqua del rubinetto è infida, anche per i cubani. E con quella si fanno moltissime cose: ghiaccio, gelati, succhi, limonata. Con l’acqua si lava l’insalata e tutta la verdura cruda. Inciampare nella cosiddetta diarrea del viaggiatore è facilissimo. Basta distrarsi o cedere alla golosità.

Ci sono cascati Mister I e Sneddu, per colpa del ghiaccio in una bibita offerta una delle prime sere durante una cena con italiani che vivono qui. Mister I ha pensato di morire una mezza giornata e poi ne è uscito. Sneddu si è trascinato la devastazione per due settimane. 

Il grande però, è di una pasta iperbolica. E non si accontenta della banale sintomatologia da manualistica. 

Stanotte dalla sua stanza arrivava un lamento flebile e continuo, la nenia agonica dell’estrema unzione. Era sfinito dopo ore di crampi e altre manifestazioni violentissime in cui non mi addentrerò. Era molto caldo e delirava, con improvvisi scoppi di insensata ilarità.  Alle 11 di stamattina era un grumo di sofferenza e incoscienza, un disidratato ricordo dello sbruffone che fu.

Lo abbiamo portato in ospedale, una clinica soprattutto per stranieri (santa assicurazione di viaggio).

Gli hanno fatto una flebo, un’iniezione di antiemetico e degli esami.

Forse ha la salmonella, forse un batterio che si chiama Shighella (un nome che comunica immotivata allegria) o forse altro. Niente che non si possa debellare con una dose da cavallo di antibiotici. 

Si è un po’ ripreso, grazie alle cure di medici amabili e soprattutto di una infermiera che lo chiamava “mi bebé”.

Per i prossimi giorni, riposo e dieta rigidissima. “Da oggi in poi non mangeremo mai più fuori casa. È troppo pericoloso”, ha dichiarato lasciando la clinica.

“Posso scrivere quello che ti è successo?”

“Solo se dici che ero in pericolo di vita e mi hanno preso per i capelli”.

Era in pericolo di vita e lo hanno preso per i capelli. L’ho detto.

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