Ieri abbiamo lasciato l’Havana e siamo venuti a Playa Girón, dove nel 1961 esuli cubani, con l’appoggio della Cia, approdarono per combattere contro la rivoluzione. Il tentativo fallí.

Siamo arrivati la mattina con un autista di nome Raul che ci ha lasciati davanti alla casetta dove avevamo prenotato due stanze che tuttavia non sarebbero state pronte prima del tardo pomeriggio. Abbiamo camminato nel mezzo del nulla, sotto un sole cocente, tra avvoltoi e cavalli, alla ricerca di cibo e mare. Il grande ci odiava perché ogni tanto gli succede, Sneddu esercitava il suo sarcasmo, Mister I faceva l’indifferente e io pensavo, con una certa irritazione, che, quando non mi occupo dell’organizzazione, questa famiglia annega nella propria accidia. 

Poi abbiamo trovato un posto dove mangiare (un’ora e mezza di attesa perché a Cuba è così) e una spiaggia dove scaricare la tensione. 

Dicono che uccidano più le noci di cocco che gli squali. I nostri lettini erano sotto un albero di cocchi maturi, pronti cadere e a fracassarci le teste. 

Un cane, che il grande ha battezzato Lucius, ci ha adottato e ha passato il pomeriggio accucciato sotto i nostri lettini (saggiamente al riparo dai cocchi e dagli squali). Quando siamo andati via ci ha seguito fino allo stadio dove, accanto alla scritta “Giron victoria del socialismo”, pascolavano capre.

Quando siamo tornati al nostro alloggio, le stanze erano pronte, le tenebre stavano calando e ha cominciato a piovere. Ma non la pioggia ristoratrice delle calde giornate estive. Un diluvio torrenziale, apocalittico. “Non pioveva così da almeno due anni”. Dal cielo cadevano secchiate d’acqua, lampi che squarciavano il buio pesto e probabilmente anche rane, molte rane. Così tante che quando camminavi rischiavi di inciamparci dentro. Era il gran ballo delle rane.  Poi l’elettricità se ne è andata, i telefonini erano scarichi e siamo entrati in un’altra dimensione. Ma questa è un’altra storia.