Sono arrivata a Torino alle 19 del giovedì. Quella sera avevo un impegno di lavoro. Alla stazione di Porta Susa mi stava raggiungendo il grande che studia Psicologia a Torino e la considera la più bella delle città belle. Più di Roma e di Venezia. Forse anche più di Parigi e di Londra ma non ho indagato. Sono scesa dal treno con l’euforia sognante degli innamorati. Perché a me la prossimità dei figli in versione esclusiva fa quell’effetto lì. C’era un albergo prenotato per me, dove avrebbe dormito anche lui. Un albergo torinese, immobile in un tempo liberty, con la tappezzeria alle pareti, il bovindo, drappeggi stroboscopici, lampadari a goccia e, all’ingresso, un concierge dall’età indefinibile che dice “benvenuto” credendoci.
Scesa dal treno, fluttuavo lieve sulla banchina, pregustandomi le successive 24 ore. Perché il grande fa il duro e non direbbe mai “Mamma, che bello stare un po’ noi due soli nel mio posto del cuore”. Ma io lo sapevo che era contento anche lui. Appunto, fluttuavo lieve. Troppo lieve. Mancava un pezzo. Mancava il trolley, dimenticato sul treno che si stava rimettendo in marcia.
E allora ho bussato sul vetro a un signore seduto nella mia carrozza. E gli ho gridato “Ho lasciato il trolley, il trolley!”. Ma lui non capiva, i finestrini erano bloccati e il treno prendeva velocità. E allora mi sono messa a correre trascinando con me un trolley invisibile. E lui ha capito, ha alzato lo sguardo e lo ha visto. Ha fatto sì con la testa ed è scomparso, inghiottito dalla velocità.
Ho telefonato al grande pensando che mi avrebbe massacrata, come si massacrano le madri anziane e i bambini piccoli quando fanno scemenze. E invece no.
“Ci troviamo alla prossima fermata: la stazione di Porta Nuova” ha detto con voce ferma, fiducioso. Forse perché era a Torino e, dice, a questa città concede la sua versione migliore.
Sono andata in biglietteria, stordita e pazza. Ho spiegato il problema. Ho chiesto scusa. Hanno avvisato Porta Nuova. Ho preso la metropolitana, cercando di convincermi che, alla fin fine, meglio perdere un trolley con dentro un vestito bellino che perdere i risparmi di una vita al videopoker.
E mentre raggiungevo la stazione mi ha chiamato il grande. Avevano ritrovato il trolley. Il signore (grazie grazie grazie!) lo aveva consegnato al controllore che lo aveva portato alla biglietteria dove il grande lo aveva recuperato: “Fortune così succedono una volta su cento. E solo a Torino! Ringrazia che siamo in questa città civile, tra questo popolo magnifico”.
Nelle successive 24 ore è stato tutto all’altezza di una città perfetta: persino i tombini (“va che bello”), i muri imbrattati (“arte”) e il cielo grigio (“la miglior punta di grigio”) ma anche le piazze, i viali, i palazzi e le persone (“Non ho ancora incontrato un torinese che non mi piaccia”).
In un posto così tocca tornarci presto.
“Sono scesa dal treno con l’euforia sognante degli innamorati. Perché a me la prossimità dei figli in versione esclusiva fa quell’effetto lì.” … sto provando a capire quando rivedrò i miei: la figlia a fine luglio, il figlio spero ad agosto; quando facciamo vacanze da “figli unici” scopro la persona dietro all’etichetta “figlia/o”, mi godo ogni momento. Per il resto, “Torino ombelico del mondo” 😉
È vero, io che conoscevo Torino perché mia nonna abitava in quella città, dico che è una città civile, educata e che la Capitale d’italia doveva rimanere quella.
Ad esempio per le altre città italiane.
Adoro Torino.
Ma a me fa il tuo stesso effetto Milano, dove la mia grande fa il primo anno dell’università.
La differenza forse la fa lo sguardo dei figli e quanto si sentono parte della città che li accoglie e che diventa un po’ il loro posto del cuore
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accidenti! gli stessi sentimenti del Mr. per Bari, buon sangue non mente…