Nonsolomamma

Cose dell’Avana, parte 2

Erano settimane che Sneddu voleva andare al mare. Domenica scorsa abbiamo fatto una gita nella valle di Viñales, a circa tre ore a Ovest dell’Avana. Abbiamo imparato parecchio di tabacco, di sigari e della pianta del caffè che è felice vicino al banano. Abbiamo incontrato uno strano roditore che cresce a dismisura e alla fine viene mangiato dai contadini, un bufalo che sembrava una statua, un murale della storia dell’uomo grande quanto una montagna. Abbiamo anche navigato su un fiume sotterraneo dentro una grotta.

“Raga, tutto bello, ma io voglio la spiaggia” ha commentato Sneddu.

Così abbiamo chiesto a vari cubani dove andare qui intorno. “Playa Santa Maria” ci hanno detto. 

Ieri era il 26 di luglio, anniversario dell’inizio della rivoluzione, festa nazionale. “State scherzando! Mica possiamo andare al mare: dobbiamo andare in piazza a celebrare insieme ai cubani” ha detto Mister I. Ci stavamo già lanciando nell’avventura balneare Sneddu e io da soli, quando Mister I, con un certo scorno, ha scoperto che le celebrazioni erano altrove, in un’altra città. 

Nel viaggio verso la spiaggia,  ha tormentato un tassista, torpido e qualunquista, con domande sulla storia di Cuba. 

Il mare non erano i Caraibi che avevamo in testa ma un mare sorprendentemente simile al nostro. E siccome la sabbia e l’acqua salata sono piuttosto democratiche ed egualitarie, i cubani balneari sono come gli italiani. Corpi sudati unti di crema, la sigaretta in bocca e il telefonino anche in acqua. Il sole però è micidiale e molti stanno con la maglietta.

Il signore che ci ha affittato lettini e la tenda sotto cui proteggerci si chiamava Alberto. Mister I e Alberto sono diventati migliori amici. Alberto ci ha detto che potevamo stare tranquilli perché, se volevamo fare il bagno, alle nostre cose avrebbe badato lui. “Meh, io sono di Bari e non mi fido di nessuno, nemmeno del mio migliore amico Alberto, nemmeno di voi” ha detto Mister I che non si è spogliato, non si è messo la crema ed è rimasto tutta la mattina sotto il telo di plastica bianca che ci faceva da ombrellone. 

Come i nostri, i bambini cubani entrano ed escono dall’acqua a velocità vorticosa mentre gli adolescenti giocano a pallone e fanno danni. Ogni tanto, all’ombra di un telo,  si materializza del cibo, diverso dal nostro ma accolto con pari euforica voracità. Da una radiolona all’improvviso esce una salsa e le signore, dalle nipoti alle nonne, ballano come un sol uomo.

Sneddu e io, annegati nella protezione 50, abbiamo fatto una lunga passeggiata sulla battigia, mentre Mister I presidiava i nostri averi. 

Quando siamo tornati lo abbiamo trovato immerso nella lettura, ignaro di avere ogni centimetro di pelle scoperto, completamente ustionato. Perché il sole cubano non guarda in faccia a  nessuno, nemmeno agli economisti baresi sotto una tenda di plastica bianca.

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