Nonsolomamma

Trinidad

La Lonely Planet la chiama la New Orleans di Cuba. Non sono mai stata a New Orleans ma a Trinidad la musica è ovunque, la pavimentazione è di un pittoresco e impervio acciottolato e le case, in stile moresco, sono colorate con grandi porte di legno da cui si intravedono piastrelle decorate, sedie a dondolo e foto di famiglia. 

Un tempo l’economia della città si reggeva sulla canna da zucchero, sul lavoro degli schiavi e sul contrabbando. Negli anni ‘30 qui arrivò, come all’Avana, anche la mafia italiana di Al Capone.

Oggi l’elettricità manca per 10-15 ore al giorno, difficilmente programmabili. Per gli abitanti è un problema enorme (basti pensare solo a carne, formaggio, uova e a tutti gli alimenti deperibili che rischiano di marcire in frigorifero). Per i viandanti come noi è un inciampo transitorio un po’ straniante, che si fa tuttavia pesante alle due di pomeriggio con 50 gradi percepiti e nemmeno un ventilatore acceso. A Trinidad impari subito a cogliere quell’improvviso click che, di giorno come di notte, indica il ritorno della luce e con lei dell’aria condizionata, delle pale al soffitto, della possibilità di ricaricare il cellulare, della vita come la conosciamo noi. Ogni click è un piccolo tuffo al cuore, un brivido di sollievo nelle tenebre.

Il caldo di giorno è atroce. Girare per la città una prova fisica estrema a cui reggiamo solo Sneddu e io. 

Qui ci sono lucertole che somigliano a iguane e ragni pelosi che sembrano usciti da un film sulle specie aliene che invadono la terra.

Trinidad è un gioiello di architettura e un incanto di atmosfera ma i turisti, come ovunque, latitano e, per i pochi presenti, la pressione di chi offre una gita a cavallo, un passaggio in taxi o un pranzo a prezzi inauditi, si fa impegnativa. Spesso qualcuno ti ferma per chiedere dollari, euro, pesos, pennarelli, penne o qualsiasi cosa a tuo gusto. Un tempo a Cuba i mendicanti non esistevano. 

Trinidad è intensa e bellissima. Sneddu dice “non la controllo e sto scomodo”.

Ieri, mentre Mister I e il grande boccheggiavano per il caldo e l’umidità, Sneddu e io siamo andati a fare un’esplorazione non convenzionale e, per uscire dai sentieri battuti, ci siamo avventurati in collina, alla ricerca di una discoteca scavata in una grotta in cui il secolo scorso un serial killer torturava e uccideva le sue vittime. Con un azzardo hanno chiamato la discoteca Ayala, come l’assassino. Pare che dopo mezzanotte sia molto frequentata. Alle cinque di pomeriggio era chiusa, piena di lucertole giganti e piuttosto sinistra. Per raggiungerla abbiamo attraversato strade sterrate e case diroccate. Abbiamo incontrato bambini che giocavano a calcio con una bottiglia piena di sassolini, anziani che vendevano gallette e madri estenuate. Lì nessuno chiedeva nulla. “Forse è adesso che ci dobbiamo preoccupare, Cla”, ha detto Sneddu che, quando è comparso un energumeno e ci ha proposto di aprire la discoteca per noi e inabissarci insieme nelle profondità della grotta senza luce, mi ha impedito di accettare. 

La sera siamo finiti alla Casa della Trova dove suonavano salsa. Mister I, nonostante un mese intero di lezioni all’Avana due volte alla settimana, ha detto che ancora non l’ha introietttata e non ha voluto ballare. Mi sono inalberata. 

3 pensieri riguardo “Trinidad

  1. Forse il deprecato (anche da me), capitalismo è meglio. Lavorare per avere qualcosa di proprio, ad esempio l’abitazione in cui si vive, è un incentivo che …consente di avere pure l’elettricità. Un bene che paghiamo, checché se ne dica, decisamente poco.

    Ciao, mi consenti di viaggiare con te.

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