Nonsolomamma

però lei in realtà

l’altro giorno elastigirl era in coda al supermercato e ha incontrato la maestra d’italiano dello hobbit piccolo, detto sneddu. hanno sorriso, si sono salutate e hanno commentato i contenuti dei rispettivi carrelli.
“di recente in classe abbiamo parlato dei lavori dei genitori”, ha raccontato poi la mestra.
“ah”, ha balbettato elastigirl, conscia che da certe discussioni scolastiche in apparenza innocue possono nascere leggende metropolitane, racconti dell’orrore, imbarazzi colossali.
“sneddu – ha proseguito la maestra – ha detto: ‘la mia mamma si sveglia alle 4 del mattino tutti i giorni'”
“be’, in effetti…”
“poi ha aggiunto: ‘però lei in realtà non è che lavora veramente'”.
e in effetti non ha poi tutti torti perché, da quando elastigirl ha lasciato il posto fisso e non esce più la mattina per andare in ufficio, il suo lavoro è un’attività strana, sfuggente, difficilmente misurabile.
così, dopo avere salutato la maestra, mentre insacchettava la sua spesa e metteva i sacchetti nel carrello si è domandata se la risposta di sneddu fosse una vittoria o una sconfitta.
perché lo scopo di lasciare un contratto a tempo indeterminato per passare al lato oscuro e precario del mondo del lavoro, ormai quasi quattro anni fa, era anche questo: esserci per gli hobbit, liberarsi dal manto di stress, di fretta, di affanno costante delle giornate lavorative interamente altrove. adesso lei esce prima dell’alba per andare alla radio ma a un certo punto della mattina è a casa e ci resta fino a sera. certo spesso fa le sue cose dentro una stanza protetta una porta che però non è quasi mai chiusa e, se lo è, viene aperta spesso e volentieri. lei è lì sempre, per un dubbio, per una chiacchierata, per uno sconforto momentaneo, per un consiglio, per la condivisione di un pensiero sbilenco, per un mal di pancia. e questo è un bellissimo privilegio per tutti quanti e, in certi casi, una devastante distrazione per lei.
quindi, il fatto che sneddu pensi che la sua mamma non lavori sul serio, forse è una cosa positiva. perché il lavoro, tradizionalmente inteso e praticato, porta con sé l’assenza e incastri faticosi e un po’ di smarrimento. e perché se lei lavorasse in un ufficio, come ha fatto per vent’anni, non sarebbe dietro quella porta, a portata di voce o di maniglia. pertanto questo mix di lavori bislacchi che tanto le somigliano e la divertono è una conquista di cui ancora non si capacita e forse non se ne capacita nemmeno uno sneddu che ritiene la sua mamma un’allegra sfaccendata insonne.
eppure elastigirl lavora. a volte moltissimo. e per questo riceve un compenso che, tanto quanto quello di mister i, è fondamentale per il sostentamento familiare. e forse il fatto che uno sneddu di otto anni abbia la percezione che il lavoro della mamma, a differenza di quello del papà che parte, torna, riparte, ritorna, sia un po’ per finta, non va bene perché non veicola il messaggio di emancipazione e realizzazione femminile che, nelle elasti-intenzioni, dovrebbe arrivare forte e chiaro. e se un domani gli hobbit si aspettassero dalle loro compagne una stanzialità casalinga, nella maggior parte dei casi è incompatibile con una professione appagante e solida, elastigirl avrebbe fallito.
la verità è che ogni modello si presta a interpretazioni e ogni esempio si specchia nel suo controesempio. facciamo un sacco di errori con le migliori intenzioni e le impronte che lasceremo avranno forme diverse dai nostri piedi ma ci somiglieranno comunque e qualche volta, sotto la luce giusta, forse brilleranno.

43 pensieri riguardo “però lei in realtà

  1. bellissimo post…meno ironico di altri tuoi, ma oh quanto vero. è così, ciò che noi facciamo “per lasciare il segno” nei nostri figli a volte non lo lascia, o lascia quello opposto. però poi a volte ci stupiscono mostrandoci di aver capito la vera essenza, da chissà cosa, boh. e grazie, perchè dici sempre quello che io penso in un modo in cui io non riuscirei.

  2. Non lo so, io pure faccio.un lavoro in gran parte casalingo, che consideto una grande fortuna perchè mi permette di esserci il pomeriggio, per le recite, e soprattutto nelle infinite vacanze. Quando i miei figli mi vedono uscire truccata e vestita mi dicono: ” Ah, oggi lavori”. Può darsi che sia sbagliato, ma per orava bene così. Almeno avranno una madre più serena e non completamente casalinga. Miniamo il concetto di parità per cui lottarono le nostre madri? Forse un po’.

  3. cara elasti
    hai esposto un bel problema di cui non intravvedo immediata soluzione
    ma ti ringrazio tanto di aver scritto quello che hai scritto, sia i pro, sia i contro, e di avere in qualche modo analizzato e difeso l’immagine della donna lavoratrice “standard”

    in una chiave più leggera, mio padre, esempio di laboriosità estrema che a 19 anni aveva tre lavori, quando io iniziai le medie lasciò l’insegnamento per fare l’imprenditore a tempo pieno
    io, la sua hobbit più piccola, in un formulario per partecipare alla selezione per fare la 4 liceo in canada (quindi avevo 16 anni non 8!), sotto “professione del padre” ho scritto: PENSIONATO 😀 😀 😀
    si è offeso tantissimo! e ho dovuto fare il classico buco con la gomma da penna sul formulario, per correggere!
    ma il fatto è che a portarmi dal dentista o a parlare coi miei prof ci veniva lui: mia mamma era lavoratrice dipendente! 😀
    COMUNQUE mia mamma ha SEMPRE reso chiaro a noi bambini che il suo lavoro portava “compenso che, tanto quanto quello di papà, è fondamentale per il sostentamento familiare”: io trovo che se questa frase è stata detta anche agli hobbit e non solo alla maestra, possa essere sufficiente
    al massimo avrai sdoganato il concetto di lavoro piacevole e divertente, che magari è vero anche per mister i ma del suo è più difficile crederlo

  4. Che meraviglia questo post! Grazie per la riflessione e la condivisione.
    Quando avevo 8 anni mia madre si dimise dal suo posto di lavoro che le piaceva tanto e che era fonte di sostentamento, perché la sua unica figlia non stesse senza di lei tutto il giorno fino ad ore serali (benedetti straordinari). Lei dice che fui a io a manifestare questo desiderio anche se francamente non lo ricordo. In effetti io non ricordo la percezione della da assenza perché per le cose importanti c’era sempre, ed anche per quelle meno importanti.
    Però averla a casa fu bello davvero e le sono molto grata per aver messo da parte la carriera per me. Specie perché così facendo mi ha insegnato che l’indipendenza è avere la possibilità di scegliere al di là di un cammino tracciato da altri in binari precostituiti e il ragionare con la testa propria.
    Non temere che il messaggio di emancipazione non arrivi se insegni loro, come state facendo, che quello che conta è essere fedeli a noi stessi ed a quello che per noi è importante nel profondo. Il cosa ed il come, in questo caso, sono accessorii.
    Grazie ancora per questa condivisione!

  5. Cara Claudia, non so se può aiutare ma…mia mamma ha smesso di lavorare in negozio quando sono nata perché l’hanno ritenuta la soluzione migliore per la nostra famiglia quindi faceva la casalinga e si era ritagliata una clientela sua come magliaia.
    A tre anni, iniziato l’asilo, seduta in un angolo ad aspettarla, a una maestra che mi ha detto “vedrai che avrà fatto tardi al lavoro” la risposta è stata “ma lei non ha niente da fare”.
    Siamo diventate lo zimbello dell’asilo ma, credimi, crescendo non ho MAI sminuito le decisioni prese dai miei, il fatto che lei fosse casalinga e facesse un lavoro ai miei occhi un po’ bislacco come i maglioni. Era felice. E io con lei

  6. Davvero essere genitori è sempre complicato. Tutte noi ci teniamo a far passare a figli e figlie il messaggio di parità in ogni modo: lavoro in casa e fuori, uguali diritti e doveri…certo tu come madre sei più presente del padre anche per cause di forza maggiore, più presente di altre madri con lavori diversi, ma ti assicuro che i figli spesso non sono in grado di capire esattamente il lavoro dei genitori. La mia era convinta che il mio lavoro si limitasse a rispondere a qualche telefonata, il figlio di una collega raccontava che sua madre passava la giornata a schiacciare dei tasti (tecnico radiologia), quindi sei in ottima compagnia. Il messaggio passerà lo stesso, con l’ età capiranno meglio. Penso che l’hobbit grande, quando torna con la testa a Milano dal Massachusetts, sappia perfettamente cosa fa sua madre 😊

  7. Secondo me con un marito che lavora lontano, se anche tu non fossi stata presente per almeno una parte della giornata sarebbe stato molto complicato gestire tre bambini

  8. La mia non c’era mai,lavorava lavorava lavorava anche se il solo stipendio di papà sarebbe bastato per tutti. Quando era presente era anche peggio perché ha sempre odiato cucinare e star dietro alla casa. Ora è anche una pessima nonna e la sua negligenza prima come madre e poi come nonna,mi ha portata a lasciare il lavoro,ad essere super presente con le mie figlie,a coccolare e a non perdere nemmeno un secondo della loro infanzia. È stancante,frustrante e non vedo l’ora che la piccola cresca abbastanza da riprendere a lavoricchiare. Ma è bellissimo vederle diventare grandi e conoscetle a memoria. E ogni giorno mi ripeto che io ci sono e che tutto potranno dire della loro mamma,tranne che non c’era. Tu hai trovato l’equilibrio e la giusta via di mezzo e devi essere orgogliosa di te stessa e di quanto riesci a fare.

    1. Negligenza? Ma ti leggi quando scrivi? Hai provato a pensare che forse tua madre teneva moltissimo a realizzarsi nel lavoro? Che forse fare la casalinga non era nelle sue corde? O pulire, spazzare, cucinare devono essere sempre al primo posto? Sai, molte donne non lavorano per necessità ma perché gli piace. Lavorare può essere bello, gratificante. E sinceramente non so quanto avere una mamma che pensa che stare con le sue figlie è stancante e frustrante sia bello per le suddette figlie.

      1. Non mi piace chi scrive con questo astio senza conoscere la storia personale di qualcuno. Non è stancante e frustrante stare con loro, è bellissimo. È fristrante lo stare a casa e non avere spazi “personali”. Perché se lasci il lavoro per i figli tutti si aspettano che tu faccia solo quello e non si chiedono se hai bisogno d’altro. Per mia madre era un peso stare con noi figli ed è un peso ora stare coi nipoti,non ne ha mai fatto mistero. È una di quelle donne che ha fatto figli perché “van fatti”,punto. E comunque il mio scritto era una premessa per dire che ci vuole la via di mezzo,come l’ha trovata Elasti e come spero di trovarla io appena la piccola sarà cresciuta. Questo ho scritto.

      2. ma tu, invece, ti leggi? se qualcuno parla di un suo vissuto doloroso si puo’ certamente non essere’ d’accordo, ma, senza sapere niente altro che il fatto che per questo qualcuno e’ stato un dolore, ci si possono risparmiare le tirate. davvero, hai provato a pensare che attacchi una donna per il rapporto che ha con sua madre (non proprio la relazione piu’ innocua), senza sapere niente di lei?

    2. ho avuto la stessa esperienza e la stessa reazione… non ho lasciato il lavoro ma ho fatto salti mortali per tornare a casa a un’ora decente e non far pesare che (anche io) odio cucinare.. a volte sono sfinita ma ho quello che ho voluto e sono felice, e sono certa di aver fatto e di continuare a fare il possibile per avere un figlio sereno

  9. Qualcuno che lavora con i bambini mi ha detto che i medesimi sono tendenzialmente conformisti e amano le certezze e le divisioni nette. Inoltre, presto, molto più presto di quanto si immagini cominciano ad assorbire gli schemi che arrivano da altre fonti che nn la famiglia : i “pari”, gli altri adulti, i media.. nn so se è chiaro, ma è quello che mi viene in mente leggendo il tuo post e molti dei commenti. Tu ne fai un problema di messaggio sull’emancipazione femminile, a me – e ti assicuro che sono una persona molto attenta agli stereotipi sessisti – è sembrato piuttosto un concerto un po’ “scatolare” del lavoro. Ecco, forse si tratta di far passare semplicemente due messaggi: 1 chevtu lavori eccome, e non solo per la radio, e nn solo quando ti pagano (e per una libera professionista, lo so, suona sinistro ma è vero); 2 che lavoro nn è solo quello che ti porta in posti precisi diversi dalla casa, in orari precisi. Che poi, visto la piega che sta prendendo il mondo del lavoro, prima o poi lo capiranno per forza 😉 Un’ultima cosa: conosco parecchie maestre, e sospetto che l’informazione che ti ha dato nn fosse per niente peregrina, anzi molto intenzionale… 🙂

  10. Io in realtà sarei curiosa di sapere cosa gli ha risposto la maestra, che sicuramente ti conosce e sa che lavori. Gli ha chiesto di preciso quale sia il tuo “non lavoro” per cui ti alzi tanto presto? Gli ha chiesto perché lo considera meno reale, per dire, di quello del papà? Se i soldi che tu porti a casa comunque con sacrificio siano meno necessari? Sono bambini e le domande vanno naturalmente poste in maniera delicata, ma la riflessione credo che andrebbe stimolata anche da figure esterne alla famiglia. Per quanto i genitori siano la figura primaria che impartisce un’educazione, molto spesso si dimentica che non sono gli unici a formare i ragazzi. Forse in questo caso non sei stata tu a “fallire” nel veicolare un messaggio, sicuramente non solo.

  11. bella riflessione, oggi pomeriggio proverò a capire dai miei piccoli (6 e 3 anni) cosa pensano che faccia di lavoro (il lavoro del padre è facile, fa il maestro, quindi lo conoscono e conoscono il mondo della scuola)… l’ultima volta che il mio seienne aveva difficoltà in un esercizio di italiano mi ha chiesto se poteva chiamare il papà o le nonne (entrambe ex mestre) e al mio dirgli “se vuoi ti aiuto io” mi ha detto “grazie mamma ma loro lo sanno di sicuro, lavorano a scuola” e dire che ho una laurea in lettere… 😉
    comunque, tornando alla riflessione seria, io senza lavoro sarei persa. Per una questione economica (mai dipendere economicamente da un uomo, sapersela sempre cavare -lo so, sono drastica e sono una mamma single, ma nella vita una donna non deve mai pensare di dover stare con un uomo perché altrimenti sarebbe in mezzo ad una strada) e poi per soddisfazione personale… io personalmente a far la casalinga mi sparerei… e a quelle che mi dicono “io faccio la mamma” io in genere rispondo “io sono una mamma anche quando lavoro”… mi spiace ma ognuno è libero di fare le proprie scelte ma io a casa non riesco a starci neppure da malata!

  12. spiegare ai bambini è difficile a volte, sopratutto qualcosa come il lavoro, i miei ancora mi chiedono perché si debba andare a lavorare, quando provo a spiegare per i soldi, la parte di realizzazione personale non ci penso nemmeno a spiegarla, mi sento dire: ma mamma, basta chiederli a babbo natale i soldi, non lo sai?! quindi mi arrendo.
    Alla fine ogni coppia sceglie per il bene della famiglia il proprio menage familiare, nel vostro caso mi pare di capire che essendo uno dei due spesso lontano l’altro tenda a essere più stanziale, oddio sembra che parli di animali della savana..comunque quello che voglio dire è che ognuno di voi due cerca di seguire le sue inclinazioni per il meglio della propria realizzazione personale e per il bene di tutti gli altri anche, un 50% e 50% magari non perfetto ma cosa lo è?! i maschi di famiglia capiranno crescendo che il privilegio, a volte faticoso, della gestione della casa/figli etc. è una cosa bella da fare e che non è prerogativa femminile, ma di chi si sente più portato a farla.

  13. Non so che messaggio passerà loro a proposito della parità e di come essere donne indipendenti. Ma personalmente (anch’io mamma di figli maschi) penserei al fatto che magari convogli loro il messaggio che si può guadagnare e vivere felici seguendo strade diverse dalla laurea alla bocconi + carriera in finanza a milano (la mia strada ahimè). Magari, per se’ stessi, proveranno a seguire strade più originali, più difficili, magari meno tranquille dal punto di vista di una madre, ma chissà- forse più gratificanti! Un bacio e complimenti per il blog!

  14. ognuno trova il suo equilibrio come meglio può. la percezione dei bambini del lavoro degli adulti è spesso distorta. lo scorso anno la mamma di una compagna di mia figli più grande (aveva anche lei 8 anni all’epoca) che fa il medico, mi venne incontro ridendo fuori dalla scuola, chiedendomi che lavoro facevo (lavoro nella sede centrale di una banca, sono part time ed esco alle 15). quando glielo ho spiegato, si è messa a ridere ancora di più, raccontandomi che la figlia le aveva detto testuali parole: “io da grande voglio fare il lavoro della mamma di laura”. “e perchè? che lavoro fa?” “non so esattamente, ma laura mi ha detto che la sua mamma lavora pochissime ore e al pomeriggio è sempre a casa e guadagna 10.000 euro al mese”!

  15. Un bel cartello sulla porta, comunque schiusa, con su scritto “mamma al lavoro, orario di ufficio dalle alle” ecco.

    E anche un Mr I. che qualche volta ne parli dell’importanza del lavoro dietro a quella porta schiusa

  16. io, che faccio il lavoro di mister i, e che posso anche “lavorare da casa”, sono considerata da tutti privilegiata, fortunata. Senza sapere che pero’ non ci sono sabati, domeniche e sere. Se si deve finire un lavoro, andare a una conferenza o preparare un esperimento si fa. Natale Pasqua e feste comandate. La nostra societa’ non e’ ancora pronta per il cosiddetto smart working, e la presenza in ufficio e’ ancora troppo sinonimo di lavoro.
    A me piacerebbe far passare ai miei cuccioli il cocetto di lavoro non solo per tirare a campare (necessario, sia chiaro) ma anche per soddisfazione, perche’ piace, per dare il proprio contributo alla societa’, ognuno coi propri mezzi. Poi pero’ spesso si arriva a sera sfatti e magari con arrabbiature e delusioni sul gobbo e non credo passi -proprio, proprio- il messaggio giusto.
    Comuqnue brava Elasti, l’esempio migliore e’ seguire le proprie ambizioni e crearsi la propria felicita’, che ognuno conoiuga come meglio si addice.

    1. STANDING OVATION!
      (faccio il tuo stesso lavoro e per di piu’ lo fa pure mio marito e per di piu’ siamo EPR quindi timbriamo pure: dobbiamo fare le 36 ore settimanali ma nessuno ci paga sere e domeniche)
      comunque il mio collega (sempre ricercatore) in casa in paterita’ diceva che faceva venire comunque sua madre perche’ COL CAVOLO che si lavora da casa coi bimbi piccoli
      ricordo che mi fece ridere un sacco!

  17. Il babbo di un mio compagno faceva il rappresentante per una torrefazione. A domanda simile rispose ‘entra ed esce dai bar per tutto il giorno’.
    I bimbi hanno idee un po’ diverse dalle nostre 🙂

  18. ELASTI ci sono delle regole sui commenti?
    tipo lunghezza o caratteri che non possono essere usati o argomenti che non possono esssere toccati?
    non riesco assolutamente a postare la risposta a Sa li’ sopra….

  19. cara Elasti, avere un lavoro con orari non convenzionali e riuscire a passare del tempo coi figli è meraviglioso. Sneddu ha anche sottolineato che esci tutte le mattine a un orario impensabile, e questo se lo ricorderà a lungo. Dubito inoltre che i tuoi figli, di tutto l’esempio che dai loro, si ricorderanno solo che avevi un “non – lavoro” che ti lasciava libera gran parte della giornata e in conseguenza di questo in futuro pretendano dalle eventuali compagne la “stanzialità casalinga”.
    Io sono madre di una futura donna (ora ha 4 anni). Spero di trasmetterle l’importanza dell’indipendenza, il concetto di parità, il valore dell’impegno, singolo e condiviso, ma anche l’importanza fondamentale di esigere rispetto nei confronti delle proprie scelte. Se farà l’astronauta, la professionista in carriera, l’impiegata o la mamma casalinga, per me l’importante è che lo abbia scelto lei. E se la scelta è frutto di un compromesso e quindi di una rinuncia (d’altra parte tutti ne facciamo), come spesso accade, l’importante è che non sia imposta da qualcuno (società, amici, marito, mamma).

  20. Che meraviglia questa riflessione Elasti! E che bello pensare a te dietro ad una porta “sempre aperta”. Mi sembra una bella metafora della maternità matura, quando i figli non sono più necessariamente dipendenti per le esigenze primarie ma sanno di avere un accesso fluido e autonomo alla presenza dei propri genitori, qundo ne hanno bisogno o voglia. Bello.

  21. Cara Elasti ti leggo da quando sono mamma, da quando sneddu era neonato e il mio primogenito anche, ma commento poco o niente. La questione mi tocca tanto perché sono mamma-pendolare (con marito padre-pendolare) e tante volte avrei bisogno di stare di più con i miei figli e loro con me, me lo chiedono, e io spiego loro che per ora non si può’, almeno fino a quando le aziende non impareranno che lo smartworking si puo’ e si deve fare e non causa nessun danno collaterale. Nel frattempo continuo a barcamenarmi nell’imperfezione quotidiana, ma come dice Niccolo’ Fabi “Costruire è sapere rinunciare alla perfezione” e io me lo ripeto come un mantra quando la casa è sottosopra, il grande mette i pantaloni del piccolo e ci esce anche, quando corro tra Napoli e Salerno per le riunioni scuola famiglia e trenitalia mi rema contro. Per quanto riguarda l’esempio io ho avuto una mamma casalinga super presente ed un papà insegnante altrettanto presente e ne sono grata, ma neanche per un giorno ho ipotizzato la mia vita senza il mio lavoro, con tutti i suoi pregi e i tanti difetti. Grazie per il post!

  22. Sai, credo sia una difficoltà comune a chi lavora da casa. Nel mio caso, quando mio marito è a casa al piccí, è dura farlo capire ai ragazzi, che sta lavorando e non bisogna disturbarlo. Non credo però che lui si preoccupi di dare un cattivo esempio, lavorativamente parlando.
    Io dal canto mio, quando, dalla mia cucina, gestisco le telefonate di uno studio medico, metto in chiaro che sto lavorando, metto l’accento sul silenzio e sull’importanza del mio (marginale) contributo al mondo lavorativo, e noto che loro apprezzano, e poi vanno dicendo in giro che io sono “la segretaria di un medico” 🙂 forse ti devi dare più importanza tu stessa…

    Pina xx

  23. Non so se ci sia una modalità perfetta. Ma per me il tempo trascorso con i figli è sempre un regalo grande. Lavoro, ma ho scelto il part-time, anche se economicamente è penalizzante. Non penso a loro, penso a quanto guadagno io quando sto con loro.

  24. E’ La necessità di chiudere il cerchio, in modo del tutto soggettivo: di trovare un equilibrio mentale, economico, condiviso con il compagno di vita, per alzarsi la mattina e dire, ok, sono mamma ma anche medico, architetto, avvocato, insegnante, pittrice, attrice , casalinga etc etc …non è facile a volte
    Ciao Claudia!
    Gaia

  25. Non mi resta molto da aggiungere. Mi viene in mente però che ormai quasi vent’anni fa, ad un corso di formazione post laurea, un docente citò una frase di non ricordo più chi, sintetizzabile piú o meno cosí:” Se da adulto farò un lavoro che mi piace potrò smettere di giocare”. Ecco, se i nostri figli hanno la percezione che noi non si lavori “seriamente” forse è anche grazie al fatto che ci diverte la nostra professione. E non è affatto un male. Ma, che si possa trascorrere più o meno tempo con la nostra famiglia, per scelta o necessità, nulla toglie all’ impegno di ciascuno di noi. Quello che saranno o faranno i nostri figli, indipendentemente dai nostri sforzi o progetti, nessuno lo può davvero sapere.

    1. Mah… io che lavoro tutto il giorno fuori casa e da pendolare mi percepisco un po’ diversa dalla mamma che porta i figli a scuola con il Range Rover e poi passa la mattina dal parrucchiere…. merita rispetto esattamente come me e tutti noi e ognuno avrà fatto le proprie scelte (poi a cinquanta anni non è che si possa più tanto scegliere, sapete), ma non credo che il messaggio ai figli su lavoro, indipendenza, realizzazione, sia equipollente…

  26. Una volta ho fatto una serie di domande ai miei figli (non mi ricordo dove le avevo prese). Avevano 4 e 6 anni…
    Le domande erano:
    cosa ti dico sempre?
    cosa mi fa felice?
    cosa mi rende triste?
    come ti faccio ridere?
    com’ero da piccola?
    quanti anni ho?
    cosa mi piace fare?
    cosa faccio mentre siete a scuola?
    cosa so fare bene?
    cosa non so fare?
    cosa ti piace fare con me?
    che lavoro faccio?
    Non ti dico le risate alle risposte…..

  27. Era svagata e geniale con una nostalgia divorante per la ‘sua’ isola che aveva dovuto lasciare in fretta,come molti altri e dove la sua famiglia aveva una fiorente attivita’,ripresa con lo stesso ardore una volta arrivati qui.Noi,ci teneva sua madre, dal volto antico bello che ci ripeteva come una nenia:’Siamo profughi ma vostra madre continua il nostro lavoro con quanti sono rimasti lì’.Questi contatti mitigavano
    forse la loro nostalgia.Era sempre ‘altrove’.La incantava sentirci leggere e noi,
    a turno,per catturarla le chiedevamo: ‘Continuo?’E lei,adorante e muta,quasi trasfigurata,faceva un cenno di si’ con il capo ed ascoltava.Noi non abbiamo mai smesso di leggere perche’ se smettessimo,lei svanirebbe.

  28. Forse ci si assolve, quando si realizza che non esiste un unico modo di comportarsi e non dobbiamo vivere con la paura di non essere correttamente percepite. Io avrei voluto avere la possibilità di conoscere quale strada prendere ogni volta che ho trovato un bivio, ma alla fine i bivi sono tanti e oramai il cammino è stato lungo. I nostri figli sono altro rispetto a noi, e ognuna quotidianamente sceglie quanto vuole o può condividere il percorso con loro. Se li amiamo come e più di noi stesse, loro lo sanno, sempre.

  29. Forse non è consolante ma io sono un medico e x scelta faccio quasi solo turni di notte ( visto che nella nostra società evoluta il part time non me lo hanno concesso) per poter stare con i miei bambini meravigliosi, xche mi da gioia stare con loro e x esserci se hanno bisogno di taxista, amica, mamma, giocoliere……non so che percezione abbiano di me i miei cuccioli, però so che sono felici quando sono a casa con loro.
    Secondo fai bene ad esserci….potendo scegliere di farlo ( non tutti i lavori lo consentono) è la cosa migliore secondo me

  30. Qualcuno ha citato Guareschi e in effetti c’è un suo racconto che ricorda tanto i commenti di tuo figlio. La figlia di Guareschi riteneva che quello dello scrittore/giornalista non fosse un vero e proprio mestiere perché “se uno ha bisogno di un tavolo chiama un falegname, ma se uno ha bisogno di una storia non chiama mica uno scrittore. In più c’è tanta gente che non sa leggere e vive bene lo stesso, ma ha comunque bisogno di un medico, di un sarto o di un falegname”.
    Questo per dirti che secondo me non è una questione di genere, ma una questione di professione, per cui stai tranquilla e continua per la tua strada, sono sicura che i tuoi figli sapranno riconoscere il valore di quello che fai.

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