Nonsolomamma

galaverna

ci pensava da ieri mattina.
era una parola che piaceva moltissimo a nonno A, tanto che a volte elastigirl pensava l’avesse inventata lui, spacciandola come universale. la pronunciava scandendo le lettere e riempiendosene la bocca come faceva con la cioccolata. “sai come si chiama questo?”, chiedeva, con il suo fare tra il dotto e il canzonatorio. “no, non lo so, papà. come si chiama?”. e lui tirava fuori quella parola lunga, strana, buffa.
sono due mattine che milano è coperta di quella parola lì. e lei non se la ricordava.
e, camminando verso la scuola con lo hobbit grande e il medio e passando accanto ai giardini, a un campo da calcio, a decine e decine di macchine parcheggiate, a un mondo coperto da quella cosa lì, di cui non si ricordava il nome, era colta da un senso di perdita crescente.
non ho perso solo mio papà. ho perso anche le sue parole. e adesso come le recupero?, pensava.
poi, stamane, ritornando a casa dalla scuola, all’altezza dei giardini, con gli scivoli e le altalene, la parola è tornata.
galaverna, uno strato sottile di ghiaccio, che copre tutto, quando fa freddo, come in questi giorni a milano, in cui, nonostante il cielo azzurro, si congela.
galaverna è proprio una bellissima parola.
tornata a casa, è andata a cercarla, per vedere se esiste veramente.
esiste.

108 pensieri riguardo “galaverna

  1. 🙂 amarcord! non me la ricordavo più, stamattina Mini mi ha chiesto se aveva nevicato e non mi è venuta in mente questa parola….grazie elasti! lo diceva sempre la mia nonna cecia (sic) e lo dice sempre la mia mamma…e a me non è mai rimasta in mente. e invece è una parola bellissima! grazie ancora di questo esercizio di memoria.

  2. Esiste, esiste! “Che galaverna!” Anche mia madre lo dice sempre nelle giornate molto fredde…le persone vivono nei nostri ricordi, nelle parole antiche che ci hanno lasciato

      1. L’ho reimparata due anni fa…”ristudiando” con P la scienza della seconda elementare, grazie alla quale ho riscoperto anche i “nembocumuli” che noi, quando li vediamo arrivare carichi carichi di pioggia, chiamiamo “nembocumuloni”

  3. a me piace pensare che gala-verna sia: inverno che si mette in gala, come si usava una volta per le cerimonie importanti……….ieri l’ho goduta in Carinzia: alberi e boschi, immersi in una sottile nebbia che lasciava intravvedere sprazzi di azzurro, sembravano ricoperti di piccoli fiori bianchi come in un mondo di fiaba….

  4. Anche il mio papa’ la usa sempre. Una volta la cercai pure io sul vocabolario perche’ pensavo fosse troppo strana per essere italiano e stessi di nuovo usando a sproposito una parola del mio dialetto romagnolo. Ma esiste e da allora me ne riempio la bocca pure io 🙂

  5. Grazie anche da parte mia…è una parola della mia mamma e della mia infanzia. Evoca teneri ricordi. Grazie a te e all’uso che sai fare delle parole.

  6. E’ una parola che piace molto anche a me! Anche “psimpsanti” mi è sempre piaciuta molto, poi alle superiori ho scoperto che non esiste, parola che mia mamma usa al posto di ” guarnizioni per torte” (quelle palline di zucchero piccole piccole e colorate che ci metteva sulla torta di compleanno) ma io la uso lo stesso!

  7. Anche la mia mamma usava questa parola. Oggi è il 4 dicembre, e stamattina avevo dei pensieri un po’ così, una sensazione che mi aleggiava intorno, sospesa ma non sapevo definire. Poi arriva un sms di mio papà a me e alle mie sorelle: e’ Santa Barbara, tanti auguri alla mamma che ci teneva tanto al suo onomastico…ecco cos’era…mannaggia come ho fatto a non ricordarmene?! quella sensazione si è sciolta in struggente tenerezza e stasera leggere il tuo post e’ davvero una coincidenza preziosa…grazie per avermi dato questo ricordo della galaverna, proprio oggi!

  8. Le parole rimangono sempre. L’altro giorno io pensavo a “liseuse” e a “paltò”…a tutte quelle cose calde di questo periodo il cui nome mi ricorda chi amo, che però non c’è più. Il suono mi scalda, un po’.

    1. Anche la mia di nonna diceva “il palltò”! E, sempre a proposito di parole che riemergono dalla memoria, mio nonno chiamava il divano ‘ottomana’.. Non ho mai più sentito nessuno usare questo termine. Bei ricordi..

      1. No, la mia nonna era di Milano e il nonno pugliese. Evidentemente paltò e ottomana superano ogni confine regionale 🙂 mi è po venuto in mente che dicevano anche ‘la reclame’ per indicare la pubblicità, e una ‘il fulball’ (pronunciato esattamente così.. Derivazione di football :D) per parlare di calcio.
        Questo post si sta trasformando in una miniera di ricordi!

    2. paltò, palettò credo sia dal francese paletot
      A Milano sono rimaste tante parole francesi – strascico di una delle varei dominazioni – come “la cler” (claire) per dire la serranda del garage (garage), la liseuse, il ragù (ragout), o appena appena cambiate “la scires” (la cerise)

      1. mia nonna diceva anche il TRUMò (chissà come si scrive) per indicare il cassettone.
        e comunque il bolognese e ha tantissimi francesismi… (la “butèja”, il “tirabusoni”)

  9. Galaverna anche a Torino, proprio questa mattina ho insegnato questa parola al mio treenne andando a scuola, era sugli alberi e sulle poche foglie rimaste.
    È una parola magica se ci pensi, quel gelo che riveste e protegge tutto ciò che poi sarà la primavera

  10. In effetti è una parola che sembra dialettale: io che considero il dialetto la mia seconda lingua l’ho sempre usata
    Poche cosa possono più essere evocative del suono di una parola.

  11. Che bello! Grazie Elasti, ho imparato una parola nuova. Domani mattina, quando andiamo a scuola, me la rivendo con le gemelle.. Buona giornata

  12. elasti, io abito in un posto umido e nebbioso e nelle giornate fredde la galaverna fa merletti che sono opere d’arte. ogni albero, ogni filo d’erba, ogni quadratino delle reti di recinzione… un vero spettacolo.
    GALAVERNA, l’inverno in abito di Gala..

    1. Ma dai! Anche i miei nonni dicevano la “Guazza” e io ho sempre pensato fosse un termine romano.
      In realta’ la guazza era piu’ la forma liquida dell’umidita’ della mattina.
      Quando la temperatura rimaneva sotto lo zero e l’acqua rimaneva giacciata usavano il termine “Brina”.

      1. da noi sull’appennino tosco emiliano la notte 24 giugno c’è la “guazza di san giovanni” e si pensava che la rugiada della notte avesse poteri curativi. ad oggi più che altro si dice che porti fortuna, e nel mio paese si organizza sempre una camminata nei boschi per “prendere la guazza” 😀

  13. Cara Elasti, mi hai fatto venire in mente che “non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo”.
    Io credo che sia proprio vero, un abbraccio

  14. Che bello, abbinare le parole a chi le ha usate! Il mio papà diceva solo “brina”, per definire questo fenomeno. Anche se non è quella giusta, e anche a me piace molto sia la parola “galaverna”, sia la spiegazione fiabesca che qualcuna ne ha dato, mi hai fatto ricordare gli inverni di quando ero più piccola, e anche giovane adulta…

    Floralye

  15. grazie, non la conoscevo! lo dirò alla mia bambina che mi chiede, quando andiamo a scuola, cos’è quella cosa bianca che ricopre il prato dei giardinetti sul nostro percorso!
    Le ho già risposto Brina, però una parola in più arricchisce tutti!
    mammagatta

  16. Anche mia madre la usa, in particolare quando parla del periodo che ha trascorso da giovane a Ferrara.
    E la definisce come “nebbia ghiacciata”…evoca un merletto sottile steso sui campi.
    E anch’io pensavo fosse una parola dialettale.
    Già, proprio una bella parola.
    Ilaria

  17. non solo esiste, ma l’ho imparata prima in inglese che in italiano. Leggendo Mr Pip, di L. Jones, si parla di rimy morning… ho wikipediato e scoperto l’equivalente italiano.
    E proprio queste mattine, guardando i campi coperti di galaverna, riepensavo ad una parola completamente fuori posto per un libro che è ambientato su un’isola tropicale (che ti consiglio x’ è bellissimo!!!). To be moral is to be human, you cannot take a day off when it suits.
    Love
    Roty

    1. i campi e iprati imbiancati sono la brina. La
      galaverna avvolge tutto alberi, recinzioni, palizzate ed e meno ma molto meno frequente della brina che , qui in Friuli ricopre i terreni ogni mattina quando la temperatura scende sotto i 2 o 3 gradi

  18. “era colta da un senso di perdita crescente.
    non ho perso solo mio papà. ho perso anche le sue parole” …. quante volte in quest’anno ho pensato le stesse cose dei miei genitori!!! Elasti, hai il dono di riuscire a tradurre in parole i sentimenti e le emozioni.
    Tiziana

  19. in Abruzzo usiamo dire ” la uazz”, cioè la brina tipica del mattino e non credo ci sia un termine per quella ghiacciata nemmeno noi forse ne abbiamo bisogno

  20. La galaverna che arriva quando il sole splende ma soffia un vento gelido e secco, che incanta i bambini cristallizzando foglie e fili d’erba… Un ricordo magico dell’infanzia con mia nonna. Grazie per averlo rievocato!

  21. qui a zurigo ne hanno proprio bisogno di questa parola, ma non so come tradurla, sicuramente esisterà qualcosa. comunque grazie, ora ogni mattina svegliandomi posso dare un nome a ciò che vedo (e venendo da roma non ne ho sentito il bisogno finora)
    grazie ancora,
    elena

  22. Da piccola anch’io pensavo che alcune parole usate da mio padre fossero inventate… e invece esistevano, anzi esistono davvero anche se son proprio parole d’altri tempi: la mia preferita è “cincischiare”…
    🙂

  23. Anche mia mamma, in Veneto, parla della galaverna o baliverna… Trasferendomi in provincia di Lecco oltre al mio dialetto ho perso un pezzo di me, la mia famiglia allargata e ingombrante, le mie zie, i miei quasi 30 cugini… Qui è tutto freddino e ognuno sta sulle sue, i nonni e gli zii dei miei figli ci sono vicini, ma entro certi limiti. Poi “ognuno a casa sua”, in case spesso vuote, riscaldate solo dalla televisione. A casa dei miei, in provincia di Padova, c’è sempre confusione, vicini che passano a salutare, amici a cena, parenti e nipoti, salami di casa e vino di casa e verdure dell’orto che girano. Qui il valore principale è “non chiedere niente a nessuno”, ho incontrato persone che nemmeno accettano i doni per il timore di dover ricambiare. “Chi mangia la galina di chi oter impegna la soa” dicono (perdonate la mia scarsa padronanza del dialetto della Valsassina). Ma perchè mai? Ma cosa vuol dire? Saranno mica rapporti umani sani, questi!!!

    1. anch’io sono Veneta (prov. di Vicenza per la precisione) e mi son trasferita dal mio paesotto di pianura ad un paesino ai piedi dei monti (famosi per l’Asiago) e, nonostante i “soli” 40 km di distanza ,ho riscontrato che qui la gente è molto più disponibile e cordiale: la prima cosa che ho notato e che mi è piaciuta da subito, è che tutti salutano tutti per strada…ora quando torno dai miei e mi capita di incrociare chicchessia mi vien spontaneo salutare …ma non mi c@@@@ nessuno…che tristezza!!!

  24. Ogni tanto mi vengono spontanee delle espressioni in milanese. Poi penso che nella mia famiglia c’è rimasto solo mio zio a parlarlo, a tratti, e che non c’è più nessuno che lo parli sempre e che anzi fatichi a iniziare e finire una frase in italiano. E mi viene tristezza per i nonni e gli zii che se ne sono andati in questi ultimi anni.

  25. La differenza tra brina e galaverna è nota solo ai meteorologi.
    L’effetto visivo è lo stesso, la nostra storia fa la differenza.
    Ho letto tanti ringraziamenti ad Elasti, il nostro bisogno di calore è forte, donarlo è altrettanto bello che riceverlo.

    1. assolutamente no, te lo assicuro, ho appena precisato anche ad un’altra amica del blog, la brina è brina e sta sul terreno per l’umidità che sale dalla terra calda e si gela per le basse temperature e qui in Friuli è quasi quotidiana. La galaverna non tutti gli anni la vediamo, dipende dall’umidità dell’aria e dalla sua temperatuta. E’ un evento raro.

      1. si è vero, in campagna in Inghilterra c’è un po’ più spesso d’inverno, e allora tutti parlano di “winter wonderland”, tutto è ricamato di cristalli, bellissimo

  26. e mica esiste solo la galaverna: c’è anche la CALABROSA
    (trovata adesso su treccani online)
    C. Chistoni, Brina, galaverna e calabrosa, in Rend. della R. Acc. di Sc. di Napoli, 18 giugno 1910; id., Le brinate nel clima di Palermo ed il modo di formazione della brina, ibid., maggio 1911.

Scrivi una risposta a mammagatta Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.