elastigirl, durante l’università, ha studiato (come del resto tutti coloro che frequentano, per caso, per passione e o per masochismo, economia e commercio) la microeconomia e, in particolare, pur senza condividerla o apprezzarla granché, la teoria neoclassica. pur avendo rimosso gran parte di quel che ha imparato in quegli anni, si ricorda, quasi con affetto, di modelli totalmente irreali ma probabilmente esplicativi, in cui c’erano due soli consumatori, entrambi super razionali e maniacalmente concentrati nella massimizzazione della propria utilità, due soli beni, un mercato e basta in cui vigeva la concorrenza perfetta. in quei modelli non c’era spazio per il caos, per le informazioni inutili, per l’imprevisto, i colpi di testa. le persone, chiamate agenti, che li abitavano, non erano mai più numerosi delle dita di una mano, si conoscevano tutte a fondo, raramente si riproducevano, e tendevano tutte, con ottusa tenacia, all’equilibrio.
probabilmente è stata colpa di questo imprinting giovanile che lei si era fatta l’idea che ci fosse un parallelismo tra quei modelli economici e certi film americani ambientati in luoghi irreali, in cittadine minuscole, con una chiesa, cinque case, un cane, un negozietto di generi alimentari e non, un ufficio postale e una manciata di abitanti.
“proprio come i modelli teorici semplificano il mercato vero per spiegare l’economia, così quei film semplificano il mondo vero per spiegare la vita”, si diceva. “quei posti assurdi non possono esistere sul serio – proseguiva -. il loro scopo è consentire allo spettatore di concentrarsi sulla trama, sui personaggi, senza farsi distrarre da figuranti che non c’entrano, da paesaggi che confondono e da elementi presenti nella vita vera ma non funzionali alla narrazione cinematografica.
le pareva questa una teoria molto convincente. perché, pensava, nessuno può abitare in una casetta di legno, tra il bosco e il ciglio di uno stradone, senza vicini di casa, senza un’edicola o un panettiere nei paraggi, e con uno scalcinato distributore di benzina come unica traccia umana, lontano almeno 36 chilometri. nessuno può vivere in tal modo e per giunta sentirsi padrone del mondo, meditava.
e questo paragone tra i modelli della microeconomia e il mondo finto di molti film la tranquillizzava moltissimo perché i parallelismi, si diceva, sono le chiavi per leggere quello che non si capisce.
invece si era sbagliata.
perché gli agenti razionali che si muovono su mercati in concorrenza perfetta e massimizzano le loro curve di utilità spartendosi i beni prodotti in modo efficiente che più efficiente non si può pensare, quelli effettivamente non esistono da nessuna parte.
invece ci sono luoghi qui, proprio vicino alla città di A, nel massachusetts, dove ci sono il buio, una chiesa evangelica, una banca e il nulla. oppure ci sono tre case, un ufficio postale, un negozio di armi e un bambino in bicicletta che pedala cantando e chissà da dove è venuto fuori. o ancora una libreria chiusa, un ponte sul fiume, una stamberga disabitata e uno studio di chiropratica.
e basta. ed è tutto vero. proprio come in certi film che non semplificano e non inventano niente ma, semplicemente, si limitano a riprodurre la realtà proprio com’è.
A me quei posti inquietano… Di notte poiiii…..
Inquietano anche me…soprattutto l’immagine del bambino uscito dal nulla
per fortuna sei in Massachusseyts… perché se invece tu fosti nel Maine di Stephen King ci sarebbe da tremare…
buona estate hopperiana
un abbraccio da Bologna
Nico
massachusetts… scusa
Nico
I luoghi che racconti sono un pochino inquietanti, ma leggerti rende più spensierata l’idea di abitare ogni luogo
Tutto meraviglioso… Il negozio di armi mi ha messo i brividi…
mmmmh, anche a me! :S
tutto sommato ci avete messo un po’ di anni a vedere i lati negativi
Uhm… vivo in un posto di 500 anime senza ufficio postale, farmacia etc etc. D’inverno non c’è nemmeno un negozio di alimentari aperto.
In compenso c’è una pace (quasi sempre) che non credevo, io cittadina, avrei apprezzato così tanto…
Più viaggi più ti rendi conto di aver bisogno del vuoto
Alla fine soffocherei e mi metterei ad urlare: voglio andarmene!
e di nuovo il contatore di commenti si blocca a 2 (commenti) anche se ce ne sono molti di più
anche a me succede ma non me ne sono mai curata molto. forse dovrei…
Quando sono stata a Woodstock ho provato la stessa sensazione. A me sembrava di stare sul set delle Gilmore’s Girl, tutto era così piacevole, lento, ovattato. C’era anche la piazza con la chiesetta bianca e il gazebo. Sono rimasta colpita anche dal buio, le strade sono male illuminate proprio come nei miglior film dell’orrore.
Ricordo che ho trascorso i primi mesi negli States a ripetermi:”ehi, ma e’ come nei film!!”
I film americani sono molto più’ rappresentativi del loro mondo di quanto si creda…o perlomeno più’ di quanto io credessi.
Incredibile seguire due soli blog e scoprire improbabili nessi:Elasti io ho scoperto qual’e’ la citta’ di A. e con chi lavori al nuovo progetto (che nn ci abbia capito nulla??)
ehi! che bello! comunque non era un segreto! è che ero rimasta folgorata dalla trilogia della città di K e quindi quando sono arrivata qui anni fa ho pensato di chiamare questo posto città di A anche perché tutti potessero immaginarsela come volevano
Mamma mia la trilogia della città di K ha folgorato anche me.
ma infatti a me non e’ mai passato per la mente di associare A. aduna citta’ vera…
sono pazza, illusa o infantile?