Nonsolomamma

non dire quella parola

al campo estivo naturalista frequentato dagli hobbit nella città di A ci sono bambini biondi, bruni, rossi, colorati, bianchi, tutti americani, dai cinque agli undici anni, tutti sperabilmente felici di stare all’aria aperta tra i bacherozzi, i serpenti, le tartarughe, gli insetti stecchi, le rane, i topi e gli scoiattoli. essendo un campo molto frequentato e non terribilmente costoso si tratta di un campione abbastanza rappresentativo della popolazione infantile di questi luoghi, comunque privilegiati, degli stati uniti.
“questa sessione abbiamo dei bambini un po’… particolari” hanno detto, dopo la prima settimana, gli educatori.
“in che senso particolari?”
“bambini… pieni di energia”
“ah, bene”, ha risposto elastigirl che, conoscendo il talento eufemistico degli anglosassoni, ha immaginato classi di incontenibili demoni.
“questa sessione invece abbiamo molti bambini con… problemi”, hanno spiegato la volta successiva.
“quali problemi?”
“vari… disturbi dell’attenzione, iperattività, dislessia, forme lievi di autismo, aggressività, rabbia…”
“capisco” ha commentato elastigirl piuttosto turbata dalla percentuale elevatissima di ragazzini con un problema considerato meritevole di segnalazione.
“questa sessione abbiamo molte allergie!” ha messo in guardia il direttore del campo qualche tempo dopo.
“quali allergie?»
“allergia alle noci, agli anacardi, alle noccioline, all’ananas, alle uova, al lattosio… poi ci sono i bambini gluten free che sono sempre tanti”, ha spiegato.
mister i che, oltre a essere barese, o forse per questo, ama indignarsi, non si capacita.
“mò! ti sembra possibile che qui, che non è nemmeno un posto di disperati, i bambini allergici, con disturbi di qualche tipo, sfortunati… siano così tanti? in una classe di venti bambini ce ne sono almeno sette con problemi. perché in italia non è così? eh?”
“non lo so. dimmelo tu”
“perché qui stanno tutti fissati! e i problemi, molti, mica dico tutti, non ce li hanno veramente secondo me! se li inventano! perché gli americano so’ tutt’ stran’, poverialloro”
lunedì lo hobbit di mezzo è tornato contento dal primo giorno dell’ultima settimana di campo estivo, quella dedicata alle macchine di rube goldberg che sono meccanismi volutamente complicatissimi per svolgere operazioni elementari o inutili.
“come sono i tuoi compagni?”
“simpatici”
“hai fatto amicizia con qualcuno in particolare?”
“sì. con benjamin”
“bene!”
“pensa che a un certo punto stavamo parlando tutti insieme di mostri e di zombie e lui ha detto: vi prego di non dire quella parola”
“quale parola?”
“appunto. glielo abbiamo chiesto anche noi: ‘quale parola?’ e lui: ‘quella che avete appena detto’ ‘mostri?’ ‘no’ ‘zombie’ ‘vi prego non ditela. se la sento posso anche impazzire'”
“e voi?”
“noi gli abbiamo chiesto se gli faceva lo stesso effetto lo spelling di quella parola. e lui ha risposto ‘anche peggiore’ e poi ci ha chiesto di non pronunciarla mai. nemmeno sussurandola perché lui la sente anche a distanza di dieci stanze”
“chiaro”
“comunque a parte il problema con gli zombie è molto simpatico. e soprattutto è uno dei più normali”.

14 pensieri riguardo “non dire quella parola

  1. Saranno solo bambini, ma non sempre mi sembra una società “sana”: complessata, insicura, manipolata dai media. Tutti a pendere dalle labbra di Dr. Phil e di Ophrah (che è poi la De Filippi di noi altri che in fondo li copiamo abbastanza).

  2. sinceramente con quello che mangiano (non dico solo fast food, ma ormoni e antibiotici e roba varia) non è cosi’ sorprendente che abbiano piu’ allergie di noi. per i disturbi di comportamento/attenzione, quelli che li abbiamo anche qui! non ti ricordi, dai giorni di scuola, di compagn* che riuscivano a stare fermi? o di ragazzin* intelligenti che prendevano brutti voti? o anche ragazzin* “stramb*” che finivano sempre nei guai o venivano bulleggiat*? io mi sono diplomata nel 2008, e ho sempre avuto compagn* cosi’ (magari meno al liceo classico per forza di esclusione anticipata). certo, quando ho vissuto in texas per intercultura la maggior parte della gente prendeva pillole di qualche genere, ma i problemi che ho visto erano piu’ o meno gli stessi che in italia!

  3. È sempre stata una società degli eccessi, in tutto, anche nelle fobie. Non so perché questo episodio mi ha fatto ricordare una scena del film Ti presento i miei, quando Ben Stiller viene arrestato in aeroporto per avere detto la parola “bomba” e allora la ripete in continuazione fino a renderla priva di senso.

  4. Dopo aver vissuto sette anni negli States, posso dire che molti di questi “problemi” sono esagerati. Una volta ho raccontato ai miei colleghi che quando ero piccola ero molto vivace e non mi piaceva stare seduta per tanto tempo. Mi hanno detto che era ovvio che avessi dei disturbi dell’attenzione e che avrei dovuto curarmi.

    Gli Americani sono sorprendentemente rigidi con i problemi e le soluzioni. Il problema A deve essere sempre e comunque risolto con il metodo A. Se lo risolvi con il metodo B, vanno in confusione.

    Molto ha anche a che fare il con la completa mancanza di Welfare e con dei ritmi di lavoro assurdi. L’americano deve essere busy, altrimenti sei pigro. Hai un lavoro a tempo pieno? Devi anche fare volontariato, fare mille attività e di vacanze neanche a parlarne!

    Le interazioni umane e le amicizie sono faticose e sempre superficiali. Il mio cane adora il cane della mia vicina. Io e la mia vicina siamo amiche e ogni tanto la invito a cena. Lei non ha molto tempo per portare il cane al parco quindi mi sono offerta di portare il suo cane quando porto il mio. Dire che stava morendo di infarto per la sorpresa è dire poco! Ha detto che è la cosa più gentile che qualcuno abbia mai fatto per lei. Una donna di 30 anni! Mi sembrava una soluzione ovvia e semplice. Ma lei non ci sarebbe mai arrivata.

    Il tutto condito con un individualismo che aiuta moltissimo sul lavoro ma ammazza ogni rapporto umano, compresi quelli famigliari. In Italia è normalissimo accudire i genitori anziani. La mamma della mia collega si è ammalata e ogni singola persona nell’ufficio non ha detto “Mi dispiace che stia male!”, ma “Chissà quanto sarai busy adesso che devi andare all ospedale!”.

    Ovviamente non sono tutti cosi e devo dire che ho molte più cose in comune con le comunità Latinx e African American.

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