Nonsolomamma

corto circuito

la città di A in massachusetts è estremamente progressista nei confronti dei diritti civili ma anche dei diritti individuali e identitari. ed è quasi rivoluzionaria nella lotta agli stereotipi di genere. e questi sono alcuni dei motivi che, agli elasti-occhi, rendono questo posto speciale. tuttavia talvolta l’attenzione diventa ossessione e il perseguimento del politically correct a tutti costi genera corto circuiti verbali e comportamentali controproducenti anche per la causa stessa.
allo scopo di consentire a tutti di riconoscersi nei pronomi personali, sono stati inventati quelli gender inclusive che, nelle intenzioni, tengono conto dell’intera gamma del sé. pertanto, oltre a he, lui, e she, lei, si può scegliere, di farsi definire come they, loro, che è plurale ma indica la scelta di non scegliere il proprio genere.
ci sono poi, con diverse gradazioni, apprezzabili da palati sensibili: ae, ey, per, ve, xe, zie.

lo hobbit di mezzo queste due settimane fa il junior counselor, che significa aiuto-educatore, al campo estivo naturalista. ha cominciato ieri nella classe dei young naturalist composta da bambini di 5 e 6 anni.
– come prima attività del mattino, tutti i partecipanti si sono messi in cerchio, due delle maestre hanno comunicato di definirsi they e hanno domandato a ognuno dei 5-6enni di dichiarare which pronoun do you go by? che pronome vuoi per te? un bambino ha risposto i’ll go for dude (io vorrei essere chiamato tipo) ma le educatrici non hanno mostrato di apprezzare.
– sono stati poi indicati i bagni. “nonostante qui ci sia  il disegno di un omino e qui di una donnina, voi non ci badate e andate dove ci sentite più a vostro agio” hanno spiegato.
– un incauto ragazzino ha chiesto di fare una partita a calcio maschi contro femmine. “non è possibile”, ha detto una maestra. “perché?”. “perché quelli che non si sentono né maschi né femmine non saprebbero che fare!» ha puntualizzato lei/loro. lui ha suggerito che avrebbero potuto fare i pali. anche in questo caso l’uscita non è stata apprezzata.
– nel pomeriggio una bambina ha proposto di imparare e poi cantare tutti insieme una canzone africana in lingua swahili. le educatrici hanno cercato su google la traduzione del titolo. poi hanno detto che non era possibile. “perché?” “perché significa ‘uomo forte'”.

29 pensieri riguardo “corto circuito

  1. La mia ammirazione, comunque, alle educatrici che riescono a spiegare a bambini di cinque anni il concetto di pronome 🙂 se hanno una qualche tecnica voglio scoprirla e usarla anche io!!!!

    1. Ho pensato la stessa cosa!!
      E, come collaboratrice ai manuali scolastici di grammatica, questa moltiplicazione di pronomi mi ha subito ricordato il proliferare dei complementi nell’analisi logica che si fa oggi in classe. Non mi ci raccapezzo io, figurati i ragazzini…

      1. Infatti! O forse neanche quei bambini hanno afferrato il concetto, magari hanno pensato si trattasse di nomi o soprannomi (tipo il bambino che proponeva dude)…che dici? Perché forse l’astrazione grammaticale ancora non c’è totalmente, a quell’età…

    1. Il video è molto ben costruito e piacevole, ma certamente è impegnativo, da tanti punti di vista. I bimbi sono sereni e stanno bene? C’e’ da rifletterci…

      1. A me ha colpito il passaggio dove il padre chiede a Mika quale pronome preferisce e il bambino si lamenta del fatto che continua a chiederglielo.

  2. Non siamo semplicemente cellule, Siamo meravigliosamente umani, tutto ciò che scrivi è esilarante e arguto. Si esagera nel rispettare le identità di tutti ma, meglio questo strafare ugualitario che la esclusiva dicotomia maschi/femmine

  3. Ciao Elasti, ho visto su Instagram la bella foto che hai messo con i tuoi figli. Ovvi complimenti per la progenie (or course!), ma ho una domanda di fashion… Ho notato le tue calzature (evitiamo pubblicita’) e ho subito anche notato i commenti sarcastici di alcuni (ad onor del vero solo alcuni pero’) del tipo “mica ci verrai in Italia con quelle?!?!”. Datosi che io sono residente all’estero (vivo negli USA), ti volevo chiedere tu come vivi questo atteggiamento italiano di repulsione riguardo tutto cio’ che non rientra nei canoni dettati dalla moda del momento? Io amo vestire con abiti nei quali mi sento a mio agio, con i quali mi sento carina, prediligo i tessuti naturali… ma non mi piace seguire mode predettate, tantomeno mi indigno di come si veste il prossimo. Per cui mi si drizzano i peli del collo quando qualcuno fa commenti del genere. Poi ovvio me ne frego e continuo a vestirmi come mi pare…. pero’ ecco i peli del collo mi restano un po’ dritti.
    Per quanto riguarda i pronomi lo stesso approccio c’e’ qui dove vivo io. Credo che ognuno dovrebbe potersi identificare in quello in cui si sente piu’ a suo agio, lui/lei, pero’ ecco tutto gli altri mi sembrano solo creare confusione.

    1. quella foto seguiva una storia in cui facevo un coming out dichiarando che avevo comprato gli zoccoli e quindi volontariamente mi sono esposta al massacro ma anche all’entusiasmo di chi li apprezza. io qui negli usa mi vesto da selvaggia (e non sto parlando di clogs ma in generale dei fondi di armadio che metto in valigia per venire ad A) perché a qui nessuno importa cos’hai addosso, perché sono in vacanza e perché vestirmi un po’ sciattona mi rilassa ogni tanto. certo, le cose che metterei qui a milano non le metterei ma solo perché anche io a milano tendo a essere più attenta all’abbigliamento sia per motivi lavorativi sia per autostima. alla lunga questa sciatteria mi deprimerebbe. detto questo gli zoccoli me li metterò anche a milano perché mi piacciono e mi divertono. e devo dire che in termini di eccentricità (ma non di sciatteria sigh) a milano ti puoi vestire come ti pare e nessuno dice nulla.

      1. comunque questi zoccoli sono venduti anche in Italia già da un po’, li ho già visti indossati in giro anche qua … per me sono orrendi, come lo sono le crocs o le birkenstock,
        ma ognuno è libero (per fortuna) di indossare ciò che vuole, chi infama le persone per l’abbigliamento o gli accessori non sta bene mentalmente, ma davvero.

  4. Vivo in Italia e non ho mai notato questa repulsione collettiva per ciò che non risponde pedissequamente ai dettami della moda. Vale come sempre il “mi piace” “non mi piace”, la libertà di poter esprimere il proprio pensiero e di conseguenza di vestirsi come si preferisce, tenendo conto che non si può piacere a tutti.

    1. sono d’accordo con te. anche io in italia non ho mai percepito censura. di certo in italia apprezziamo di più le cose belle rispetto a qui ma lo considero un più non un meno del nostro paese.

      1. Effettivamente forse Milano e’ un’altra storia. Io quando ho indossato la predette scarpe in Italia mi sono sentita apostrofare come la “bella olandesina” con risatine annesse. Ora capisco la liberta’ di poter esprimere il proprio pensiero pero’ ecco… anche no.

  5. Non ce la faccio a condividere questo approccio, tanto meno ad apprezzarlo. Inutile dire che tutti si devono sentire liberi se comunque la libertà viene drasticamente limitata proprio da questo accidentaccio di corretto a tutti i costi. Non è libertà, è formalismo ed etichette questo, peggiore di quello che si dice così di voler combattere.
    Trovo anche pazzesco che si facciano discorsi di questo tenore a bambini di 5/6 anni che per forza do cose non hanno idea di cosa mai possano veramente significare. Si genera solo una gran confusione, evitabilissima.
    Prima che qualche ben pensante (come nel passato) gridi allo scandalo: non è questione di binarietà o meno, è proprio che non ha senso mettere in testa dubbi di identità a ragazzini che probabilmente non ne hanno mezzo (giustamente) e preferirebbero non porsi problemi ben più grandi della loro maturità.

    1. Condivido al 100%. Il rispetto delle diversità ha un valore fondamentale che nel nostro paese si sta purtroppo mettendo in discussione, e questo è molto grave. Ma il senso del ridicolo (e del buon senso) dovrebbe costituire in ogni caso un limite invalicabile. Così come il rispetto di personalità ancora in fase di sviluppo come sono quelle di bambini così piccoli, i quali, nel 99,9% dei casi, dei problemi di identità di genere si fanno un baffo (e meno male!). Infatti – ed è sacrosanto – offrono soluzioni di grande saggezza (v. “possono fare il palo” …)

  6. A me ha fatto sorridere il 5\6enne che voleva farsi chiamare dude. E francamente ho trovato triste che educatrici che lavorano con bambini di quell’età abbiano reagito male alla sua uscita.

  7. “Potrebbero fare i pali”, viva l’ingenuita dei bimbi! Frase a parte, loro non hanno bisogno di etichette, semplicemente accettano. Sì, è proprio un cortocircuito, invece che maschi contro femmine si arriva a genere contro non genere… forse l’essere umano ha bisogno della dualità, chissà.

  8. Con dualità intendo contrasto, avere un opposto. La libertà di scegliere o non scegliere un pronome o un genere è sacrosanta, il metodo però mi sembra riporti a schemi che forse non aiutano l’inclusione.

  9. Io trovo applicazioni di pensieri adulti che rasentano il fanatismo a una fascia di età in cui le definizioni identitarie non sono pienamente costituite, e ancor meno consapevoli. Peraltro, perdonami Elasti, ma insieme al diritto identitario io metto il diritto alle cure pubbliche gratuite e all’istruzione pubblica pure gratuita. Penso pure nella città di A. Se non hai una assicurazione non entri proprio in ospedale, e non so quanto affordable siano i campi estivi per tutte le fasce sociali. Correggimi se sbaglio.

  10. Sono perplessa che questo tipo di approccio funzioni come prevenzione all’ottusità e cattiveria degli omofobi e dei razzisti…
    Io ho sempre schematizzato molto e anche i colori per me sono classificabili tra maschi e femmine…ma non ho mai pensato che ad un maschio possa piacere un maschio e una femmina possa amare una femmina o che certi lavori li possano fare solo i maschi e altri solo le femmine…
    Temo che la sensibilità e il rispetto siano doti innate…
    lo dico a malincuore…perchè sono mamma e quando i miei figli hanno atteggiamenti cattivi soffro e mi interrogo su come sia possibile visto l’esempio che diamo noi genitori….e puntualmente li riprendo e gli faccio la ramanzina ripetendo: prova a metterti nei suoi panni: ti piacerebbe sentirti dire quello che tu gli hai detto? Chissà che a forza di farli riflettere su quanto è facile ferire il prossimo non maturino un pò di carità…

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