Ho un problema, o un deficit, con gli armadi. Certo, al cospetto degli attuali orrori globali, le mie paturnie sono insensate. Ma Mister I non perde occasione per farmelo notare. E mi duole ammettere che ha ragione: io non chiudo le ante. Lascio quasi sempre tutto aperto e tutto in vista: i vestiti, le scarpe, i piatti, gli asciugamani, il servizio bello e quello brutto. Malgrado quello che pensa Mister I, non lo faccio per sciatteria o per un sadico disegno contro di lui che soffre della mia improntitudine. Io non chiudo le ante perché non mi accorgo che sono aperte. Di fronte a un armadio indifeso che mette in mostra gli organi interni io vedo un mondo in ordine, spazi ariosi e niente da modificare. È un problema che potrei risolvere forse con appositi occhiali che tuttavia nessuno ha ancora inventato.
In barba agli armadi aperti però sono riuscita a convincere la dottoressa Tic Tic, la pediatra dei miei figli che ormai hanno superato l’età pediatrica, a venire a cena a casa nostra. La corteggiavo da anni, più di 20, ma lei niente. «Eh, grazie ma…», rispondeva integerrima protetta dal suo camice. Probabilmente temeva che, accettando, sarebbe stata ingoiata da uno dei nostri armadi o dei nostri figli e non sarebbe mai più riuscita a liberarsi. E invece, l’ultima volta che, per Sneddu, ci siamo sentite, lei ha accettato l’invito.
E sabato sera è venuta accompagnata. Entrambi vegetariani. Ho vacillato alla notizia perché, per cena, possiedo solo cavalli di battaglia per onnivori. Così ho deciso di superare l’ansia da prestazione facendo la parmigiana e friggendo melanzane un intero pomeriggio. Nella mia personale etica, più l’ospite è gradito, maggiore è l’abbrutimento richiesto per accoglierlo a dovere. Però questa cosa della pediatra a cena, rilassata, senza timore di un agguato a sorpresa («Scusa, ma secondo te, questo liquido verde, che esce dall’orecchio del bambino, è grave?» «Ti spiace guardargli la gola? Auscultargli il cuore? Che ne dici di vaccinarlo contro la rosolia e la pertosse, già che sei qui?»), significa che siamo diventati grandi. E, nonostante le ante spalancate e il puzzo di fritto, è una cosa proprio bella.