c’è un’attesa lunghissima e solitaria nella penombra. il lamento di un bambino infelice e sfinito nella stanza in fondo al corridoio. un papà in tuta da ginnastica che non riesce a dormire. la consapevolezza della propria fortuna. e ancora l’attesa di un ascensore che nessuno chiama, di una barella che nessuno restituisce, di uno hobbit di mezzo in sala operatoria all’una di notte per togliere l’appendice d’urgenza mentre tutti dormono. non è niente. è routine. un’amica le ha scritto che è un intervento che in grey’s anatomy nessun medico vuole fare perché ritenuto troppo facile.
poi finalmente arriva. piccolo come quando era piccolo e aveva gli occhi tondi da civetta e tutti i difetti di pronuncia del mondo. bianco come le lenzuola che lo avvolgono. piange. è un grumo di sofferenza e lacrime e rabbia. si agita. la chiama. protesta. si addormenta. e poi c’è il loro ingresso prepotente in una camera condivisa. un ragazzino e la sua mamma che dormono, la luce che si accende, le infermiere che si muovono veloci, parlano a voce alta e si affannano su di lui che piagnucola, vomita di nuovo, vuole dormire. c’è una brandina ai piedi del letto dello hobbit, preparata ore prima. lei si chiede se riuscirà a posarci la testa per più di cinque minuti. lui vomita ancora. le infermiere tornano, poi viene il chirurgo, poi tutto torna a tacere. lui si addormenta. lei va nel bagno condiviso e asettico della loro stanza. strana la promiscuità. strano condividere momenti e luoghi così intimi con degli sconosciuti. come farà chi ci è costretto per mesi? fa. ci si abitua a tutto. l’urlo di un bambino nella stanza accanto squarcia la quiete delle tre di notte. scalpiccio di passi veloci. è un tempo sospeso. lui dorme? sì, dorme. lei no.
stamattina lo hobbit di mezzo ha ripreso colore. vuole una fotografia del bagno perché ancora non lo ha visto. guarda modern family in cuffia. gli sono rimasti gli occhi da civetta della notte e un insolito mutismo. sembra un neonato e un saggio. “hai male?” “poco” “vuoi che parliamo un po’?” “no” “hai bisogno di qualcosa?” “no. ma quando guarisco devi farmi in pancake”.
lui sta meglio. e anche lei, nonostante il sonno.
Sono quei momenti in cui il tempo e lo spazio si fermano per concedere la possibilità di rivalutare le cose. È strano a dirsi, ma è una fortuna avere questa opportunità, poter scegliere di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Un abbraccio all’hobbit di mezzo che presto tornerà a godere della luce del giorno e un abbraccio a te che sei stata fortissima ad affrontare l’emergenza.
Quasi impossibile riuscire a dormire in ospedale insieme ad un figlio, nemmeno se stai per più notti e senti tutti rumori del reparto di notte…passi, parole sussurrate, sospiri…E in fondo sei grata di sapere che per tuo figlio sarà presto un ricordo, mentre per altri sarà una continua tortura magari per anni…malinconia e gratitudine insieme. Scusate la tristezza del post, ma a breve davvero l’Hobbit di mezzo sarà a casa di nuovo pimpante!
Quando ero piccola avevo tantissima paura dell’appendicite. Molte mie amiche dell’epoca mostravano fiere la piccola cicatrice sul fianco ma io pensavo: “io no, grazie”. Forse perché traumatizzata dall’operazione alle tonsille, a cui fui sottoposta all’età di 5 anni e di cui oggi conservo ancora un vivido ricordo. Ti ammiro per come riesci ad affrontare tutti questi imprevisti da sola e di nuovo auguri al tuo piccolo che, se già pensa ai pancake, sta già molto meglio.
Ma ……ci stai forse dicendo che lo hobbit di mezzo,crescendo, non ha piu’ gli occhi da civetta ?
Ma Mr.i lo sa’ quanto e’ fortunato ad averti per moglie ?
Anche io penso che sia fortunatissimo 🙂
Attesa lunghissima (ma perché non lo dicono?) te lo avevo scritto nei commenti al post precedente e poi liste lunghissime di tutto quello che dovevo preparare da mangiare. Dai che è passata anche questa!
Vi abbraccio entrambi. Tanta solidarietà. Fra pochi giorni sarete a casa e domani arrivano i rinforzi da Londra.
Ciao Carissima. Bene per il tuo hobbit. Ti aspettiamo alla mattina. Sei una grande donna.
che spavento Claudia !! Ti auguro tutto il meglio
Lo stesso ospedale, lo stesso bagno, le stesse sensazioni qualche anno fa… il tuo racconto vivido mi ha toccata. Noi condividevamo la stanza con una mamma e un bimbo cinesi e divennero amici di microcosmo. Poi arrivarono i clown a farci divertire un po’. Ricordo al mattino presto un desiderio struggente di caffè e non potersi allontanare dall’infante fino alla prima visita. Auguri cara Elasti.
Trascorrere la notte in un reparto di urgenza di un ospedale ci aiuta sempre a risistemare un sacco di priorità che, al di fuori di lì, nella vita di tutti i giorni, inevitabilmente si mescolano. Tutto assume un valore diverso, salute, tempo, lavoro, progetti … Diverso è anche uno sguardo dalla finestra che dà sul parcheggio o la semplice lettura di un libro. In ospedale, di notte, le sensazioni sono amplificate, vero, ma anche impermeabili al clima meteorologico e al tempo che scorre.
È proprio così
Ho provato le stesse sensazioni la settimana scorsa
quando hanno ricoverato la mia mamma
Non lo avrei saputo descrivere bene come te, emiliana
un abbraccio
“Ci si abitua a tutto”…
Quanta saggezza
ti abbraccio forte, elasti
Buona guarigione al cucciolo. Tu sei una roccia. Vorrei almeno la metà del tuo sangue freddo. Un abbraccio a tutti e due
io scommetto che ti viene anche a te, in situazioni analoghe!
stai tranquilla, fidati!
Claudia….descrivi le situazioni in modo veramente coinvolgente…sembra di essere lì in ospedale e vedere la scena…un grosso in bocca al lupo da Ravenna!!!!
Un abbraccio grande
Auguri di cuore, Elasti, per il tuo fantastrabiliante hobbit di mezzo!!
Anche mia figlia che ora mi ha mandato il tuo link e che ti segue dalla spagna _barcellona dove vive da 12 anni e ha un bimbo di 5 anni, è stata operata d’urgenza di notte alla 1 dopo un pomeriggio di vomito e 10 ore di pronto soccorso dopo ennesima visita pediatrica conl umiltà di un luminare che mi disse.non ci sono riscontri chirurgici ma comunque facciamola vedere da un chirurgo del pronto soccorso. E li una giovane dottoressa con una manovra improvvisa sulla pancia provocò una smorfia di mia figlia.un esame del sangue con10000 globuli bianchi che potevano essere tutto e niente e una temperatura rettale superiore di 2 gradi rispetto alla ascella ha diagnosticato appendicite acuta a rischio sepsi.hanno operato nadia alla 1 :uno scricciolo con cuffia e due occhi smarriti fermi su di me alla chiusura del passaggio in salaoperatoria la mia attesa con suo padre .il medico che esce dopo 2 ore…meno male signora la bimba aveva già unpronunciato versamento intestinale infetto.è andata bene.sarà una lunga degenza e convalescenza. poi lei arriva sveglia su una barella troppo grande senza chiedermi niente mi guarda e dice sono stata brava?ma mi fa un pò male andiamo a casa?siamo andate in una camera con6 letti e 5 adulte anziane operate di ogni tipo di patologia.è stato l impatto di nadia con la malattia vera.lo spavento quando la suora caposala le disse che mandava a casa la mamma che non serviva.ma io forte della legge allora 1989 che consentiva alle madri di stare con i figli anche nei repartibdegli adulti fui ferma nel non muovermi con tutta la solidarieta delle anziane degenti.rimasi sulla mia seggiola ela mia bimba mi guardòbcome fossi la fata di cenerentola.stemmo 6 giorni in ospedale sotto antibiotico e 15 a casax la feritalunga e le afte da antibiotico.ma io e lei e con i nonni materni venuti a badare ad entrambe la sorellina di 1 anno e lei mentre andavo a lavorare ci siamo fortificati e rincuorati pensando alle famiglie dei bimbi coinvolti in malattie ben più gravi.da allora sempre la prova della temperatura rettale ogni qualvolta cè febbre o vomito o malessere non conosciuto e tantissima comprensione x le mamme che hanno ben altre sentenze.un abbraccio forte da una nonna che ha rivissuto gli stessi momenti e grazie x quanto scrivi e sostieni nadia ora con le tue esperienze materne e e maritali.
Sei stata brava a rimanere, Paola.
Quando avevo 7-8 anni (fine anni ’60, inizio anni ’70) mi hanno ricoverata e i genitori potevano venire a trovare i bambini un’ora, due volte alla settimana… Era orrendo, ma facevamo gruppo tra di noi e mio papà passava sotto la finestra, con la Vespa, tutti i pomeriggi alle 3, e ci salutavamo con la mano per mezz’ora. E alla fine alla finestra ad aspettare mio papà c’era tutta la camerata.
Dolce-amaro, come ricordo, ma vivissimo.
Dai, Elasti: sei stata fortissima (non che avessi alternative, comunque… :-D)
Bambini malati lasciati da soli? Che atrocità! Sono sconvolta. Complimenti per la forza d’animo, Rossella!
io quel papa’ li’ che passa in vespa tutti i giorni alle 3…
che meraviglia! ma come gli e’ venuta quest’idea?
che dolcezza
mi sono commossa
Alla fine degli anni 60 ricoverarono mio figlio. Per non lasciarlo prendemmo, con successivi sacrifici, una stanza privata.
Ricordo ancora quei pianti disperati nella camerata al piano inferiore.
paola… mio marito si ricorda ancora quando hanno mandato via la sua mamma dall’ospedale, dove l’avevano ricoverato per una delicata operazione all’orecchio!
sei stata brava a restare
Mio papà era un grande, senza ombra di dubbio!
Grazie Claire per averlo rilevato.
E grazie Giorgia: adesso è impensabile ma allora dicevano ai genitori che i bambini facevano meno capricci se lasciati soli!!
Che donnasei, Elasti!l appendicite è una cosa che temo tantissimo, prima da bambina e adesso da madre…timore che non sia riconosciuta! Che bei commenti ho letto…sono felice che stia passando, spero presto a casa!!
un abbraccio a voi
Fatta anche questa ………. Un super abbraccio!
Malattia, dolore, urgenza, emergenza,paura, sofferenza…passiamo la vita a tenerle lontane dagli occhi e dal cuore poi all’improvviso, quando meno te l’aspetti ti trovi catapultato dentro ad un’ospedale e ti chiedi come si fa ad abituarsi a tutto questo? si fa…
grazie della testimonianza
buon rientro a casa e buon dolce e agoniato ricongiungimento famigliare!
Della notte trascorsa all’ospedale con mia figlia (3 anni, trauma cranico, tuffo di testa dal lettone) ricordo il terrore, il mio cervello che si rifiutava di pensare, anche di pregare. Riuscivo solo a contare i suoi respiri. Fino al mattino quando si è svegliata pimpante e ci hanno rimandate a casa.
Un abbraccio forte a te e al piccolo, grande hobbit…
:*
di mezzo.. è davvero un supereroe!!!! <3<3<3
ti abbraccio Claudia.
sei stata bravissima ad affrontare tutto da sola.
a
Di solito leggo in silenzio il tuo blog, non con regolarità, ma ogni una, due settimana, affrontando gli arretrati in ordine cronologico. Ma dopo la lettura di ieri venire qui è stata la prima cosa che ho fatto tornando a casa, sperando di trovare le buone notizie che effettivamente ho trovato.
Auguri di cuore a entrambi, e sappi che ci sono anche tante persone che ti seguono in silenzio come me!
Tanti auguri di pronta guarigione al ragazzo,
Per noi mamme è quasi normale routine, ma sa il cielo quello che si prova.
Ma noi siamo resistenti.
Tu lo sei.
Un abbraccio
Come va?
L’ho fatta anch’io una notte ricoverata con mia figlia… solo per accertamenti però, e meno male, anche perché aveva solo 10 mesi. E anche a me ha fatto strano la promiscuità, anche perché dividevamo la stanza con una ragazzina preadolescente di origini straniere che era lì, per quel che ho capito in un momento furtivo di complicità materna mentre la ragazzina era via (in un italiano stentato, tra l’altro) per un tentativo di suicidio (o forse “solo” depressione? Non abbiamo avuto tempo di approfondire) causato da bullismo a scuola. In quel momento i problemi di mia figlia sono spariti e ho sentito un’immensa pena e un gran rispetto per quella povera donna, che con quel che aveva passato ancora riusciva a sorridere.
E ricordo anche una gran fatica, come se tutto il peso del mondo fosse sulle mie spalle. La fatica per far dormire la bambina in un posto nuovo e la fatica per addormentare ME, la fatica di aspettare il dottore e poi le visite e tutto…
Leggendo di notti in ospedale e di bambini lasciati o meno soli, mi è venuto in mente quel passo del romanzo “Io e la mamma” in cui la piccolina di casa, Dagmar mi pare si chiamasse, viene ricoverata e la madre, pur di non lasciarla sola, finge di essere un’addetta alle pulizie dei pavimenti. Lessi quel romanzo quando avevo più o meno l’età dello Hobbit di mezzo e pensai, allora come ora, che mai e poi mai un bambino dovrebbe essere allontanato da sua madre in ospedale, se non ci sono ragioni specifiche. Un abbraccio a tutti i piccoli malati, un abbraccione al “nostro” Hobbit.
Noi ricoverati a 6 anni per una piccola operazione, io ricorderò per sempre quando gli diedero le gocce pre-anestesia e lui iniziò a straparlare e a vedere Bambi volare sulla mia testa.. e poi l’accompagnai fino alla sala pre-operatoria con camice, cuffia e gambali, lui mi teneva la mano e poi me la lasciò dopo la prima puntura e mi viene ancora adesso il magone. L’infermiera mi disse “ok, mamma ora puoi aspettare fuori” e io risposi “bene, dov’è che posso andare a piangere?” e mi misi lì in un corridoio a leggere le lettere di ringraziamento di famiglie con bimbi ben più malati del mio e ridimensionai il tutto, e iniziai a pensare a come raccontargli di quel Bambi per farlo ridere quando si fosse svegliato, perchè non potevo certo continuare a piangere per un’operazione da niente mentre c’erano bimbi che se l’erano vista molto più brutta di noi… Piansi ancora un po’ e passai la notte accanto al suo lettino in una camerata da 4.
Un ricordo che mi è tornato in mente quando la settimana scorsa hanno operato mia mamma all’intestino e anche lei sentiva volare il letto dopo l’anestesia, e al risveglio diceva che le patatine a mio figlio piccolo le avrebbe comprate subito.
Ogni tanto io e il mio Lory ci raccontiamo di quella volta all’ospedale dei bimbi e ridiamo per Bambi che vola…
Le mamme sono forti come le rocce!
Eh sì. Quelli che ci stanno tanti mesi. Che dopo un po’ gli diamo del tu, che sanno chi è bravo e chi meno, chi ride e chi è ansioso, a chi sorridere e a chi no. Ci sono eroi nascosti in ogni ospedale, e non siamo noi medici, ma i genitori dei bambini malati.
all’Ospedale S’Orsola di Bologna i genitori di oncologia pediatrica hanno fondato l’associazione AGEOP, per darsi conforto tra di loro e darne ai loro figli con mille attività e tanti sorrisi. C’è un mondo dentro quegli ospedali di cui spesso ci si dimentica.