non lo aveva mai fatto prima. sapeva che era possibile. sapeva che avrebbe aperto sterminate praterie di possibilità. ne era terrorizzata. c’è chi lo fa da anni, con disinvoltura e noncuranza. non lei. lei che deve avere tutto sotto controllo. lei che si sveglia un’ora e quaranta prima della diretta, quando è ancora notte. lei che quotidianamente ipotizza il worst case scenario e si prepara a 90 minuti di sproloquio radiofonico solitario, anche se in realtà sono in tre. perché non si sa mai.
alla fine è arrivato il coronavirus. e lo smart working è diventato una necessità. lei tuttavia per un po’ si è ostinata a pensare che la radio no, quella non sarebbe diventata smart. sarebbe rimasta dentro uno studio, con un regista e un tecnico dall’altra parte del vetro. rassicurante e imperturbabile.
si sbagliava. e la settimana scorsa è arrivata a casa sua dalla rai una macchina che si chiama codec. lei l’ha guardata diffidente, ha studiato le istruzioni, ha fatto un paio di prove tecniche e ci ha costruito una capannina insonorizzata intorno, come un piccolo altare dedicato a una divinità ignota.
e poi, una mattina alle sei, ha cominciato a trasmettere dal salotto. in pantofole e pigiama, con un filo di trucco per darsi un tono, la borraccia accanto per idratarsi, i giornali online letti sul tablet e la testa dentro la capannina insonorizzata.
è tutto un po’ ansiogeno perché quella macchina che si chiama come il verso della gallina è per lei un mistero, perché i maschi e i vicini potrebbero svegliarsi mentre lei bercia dentro un microfono, perché intorno ci sono il buio e il vuoto, seppur domestici, perché bisogna usare l’immaginazione per crederci veramente, perché ci sono mille variabili che potrebbero andare storte.
eppure succede. e ogni mattina sembra un miracolo. e capita persino di dimenticarsi per un attimo di questa spaventosa calamità collettiva e di ritrovarsi con gli occhi chiusi e le cuffie sulle orecchie in mezzo a una folla invisibile con cui ballare.
‘Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno
che lascia dietro a se’ mar sì crudele’.(Purg,canto I ).
Nella giornata di Dante,uno dei brani recitati…
sarebbero interessanti i dettagli di “ci ho costruito intorno una capannina…” – non dev’essere stato così semplice.
la capannina è fatta di pannelli isolanti. una specie di brutta casetta intorno al codec
Almeno puoi dormire mezz’ora (un’ora?) in più. E se vuoi, finita la registrazione, rimetterti a ronfare una mezz’ora, prima di vestirti finalmente. Tutt’altro che disprezzabile.
Sei sicura che non lo rimpiangerai quando tutto sarà finito e dovrai di nuovo alzarti di notte e andare a lavorare con la pioggia o la nebbia?
posso dormire 20 minuti in più (le prove la mattina sono purtroppo laboriose) ma è comunque grandioso e non escludo di rimpiangerlo!
Il filo di trucco perchè non si sa mai è esattamente la linea di confine fra l’universo femminile e quello maschile!
Capisco le nuove esplorazioni spaziali, nel mio piccolo ho imparato ad utilizzare la app Zoom e parlare e vederci tra più persone. Siamo pioniere all’epoca del coronavirus. Ciao con affetto
Faccio lezione ai miei alunni con zoom, e ho anche presentato un progetto per avere finanziamenti, il tutto via zoom, dal mio salotto: camicetta, collana bella, mascara, pantaloni della tuta e pantofole !
Io quando ti sento parlare del tuo lavoro alla radio penso spesso alla canzone dei Queen, Radio Gaga, e alla fantastica dichiarazione di amore nei confronti della Radio che essa è (Radio, what’s new? Someone still loves you).
Credo che pochi lavori mantengano un fascino inalterato come quello del fare Radio, dove necessariamente ci si deve basare sui contenuti, perché quello che dici è l’unica cosa che arriva, non ci sono interferenze. Ci sei tu, la tua voce e il messaggio che veicoli con essa.
Come deve essere bello. Spaventoso, sfidante, impegnativo, ma bello.
non potrei essere più d’accordo e non potrei dirlo meglio.