a bari l’inverno non esiste. cappotti, cappelli e sciarpe sono accessori richiesti dal calendario e da una comune convenzione, non dalla necessità. il cielo è terso, i colori netti e i tavolini all’aperto dei bar sono tutti pieni. in piazza c’è un grande albero musicale che stordisce i palazzi intorno con canzoni natalizie a ciclo continuo. quattro o cinque, sempre le stesse, in un loop ossessivo che potrebbe scatenare atti di violenza inconsulta. in spiaggia qualcuno fa il bagno. in mezzo al mare in molti, un remo in mano e lo sguardo del privilegio, navigano in piedi sui sup, che sono tavole semigonfiabili che ricordano quelle da surf.

a bari si bevono l’espressino e la peroni, si mangiano la focaccia, i panzerottini (forse mani umane non hanno mai prodotto nulla di più buono), le cime di rapa, e cartellate e le sgagliozze, pezzi di polenta fritta da cui mister i evince che la polenta sia stata inventata qui.

a bari la nonna gioca a uno con sneddu e quando vince ulula il suo trionfo, il nonno orienta le scelte cinematografiche serali, gli hobbit grande e medio fanno interminabili assemblee politiche scolastiche (“ma a natale?” “certo”), mister i è felice, la zia matta impazza ed elastigirl dorme tutto il sonno che non ha dormito in quattro mesi di sveglia alle 4.

da bari è tutto, con euforia e narcolessia parimenti distribuite.